Scrivere da un silent: un’impalcatura leggera prima di rituffarsi nella scrittura autentica

Scrivere da un silent: un’impalcatura leggera prima di rituffarsi nella scrittura autentica

Una premessa necessaria

L’articolo che state per leggere si colloca come quinta puntata della serie proposta per sostenere la scrittura quando si passa a quella autentica a partire da una traccia ampia che alleni “il muscolo della scrittura” e che funga da prima impalcatura per i nostri scrittori in erba. In questo caso si proporrà un’attività guidata dove la “traccia” è fornita dalle illustrazioni di un albo senza parole. Prima di presentare la proposta occorre, tuttavia, fare una precisazione metodologica.
Non sarà certo sfuggito che nel Reading Workshop proponiamo una lettura non strumentale di albi illustrati, testi completi che raccontano una storia integrando più codici comunicativi e che vanno compresi in tutti i loro aspetti. Ciò vale anche per quelli che in Italia sono chiamati “silent book”, dove il rapporto testo-immagini è 0:100, ma ciò non vuol dire che il “testo” sia assente. La lettura in classe di wordless picture book  è un’operazione lenta, fatta di ripetute osservazioni delle immagini; applicazione di strategie di comprensione su immagini, struttura, impaginazione; domande, inferenze e discussione. Il silent richiede una lettura ricorsiva, l’attenzione al dettaglio, porta all’analisi iconografica e strutturale-compositiva da cui ricostruire con precisione la storia narrata con le immagini, grazie all’apporto dei membri della comunità ermeneutica della classe.
La proposta di cui vi parlo si colloca solo dopo questo tipo di lettura e si configura come esercizio strumentale mirato al confronto tra varie produzioni scritte che partono da uno stesso stimolo; in particolare ci si è confrontati sulla scelta del tempo nella narrazione, del narratore (il punto di vista in questo caso era stabilito nella consegna), dei dettagli da sviluppare, dell’ambientazione, ripassando le strategie note grazie alle minilezioni presentate l’anno precedente, prima di procedere alla scrittura autentica narrativa.

Wiesner, un autore molto amato

La scelta del silent è ancora una volta caduta su un’opera di David Wiesner, un autore pluripremiato a livello internazionale e molto amato da me e dai miei studenti. Negli anni le mie classi hanno conosciuto e sviscerato Flotsam (a brevissimo in Italia col titolo di Flutti per i tipi di Orecchio Acerbo), Mr. Ubik, Martedì e altri albi non ancora pubblicati in Italia, che hanno una struttura e un ritmo ben precisi, segnati dall’impaginazione, con suspence quasi ad ogni giro di pagina. Una volta, ad esempio, dopo una lettura prolungata, avevo proposto la scrittura del testo di Mr. Ubik – portato in classe più volte durante la fase di immersione nel genere fantascientifico in terza – chiedendo agli studenti di scegliere un punto di vista preciso: la storia, infatti, ha alcune tavole che raccontano cosa succede al gatto che dà il titolo alla storia, altre che mostrano cosa succede ai piccoli alieni capitati tra i giocattoli del gatto, altre ancora a quanto accade nell’interazione tra i personaggi e degli insetti che vivono in quella casa… Ciò si presta molto bene a far scrivere la storia assumendo via via i vari punti di vista. Mettendo su carta il testo di Martedì, invece, – come ho proposto in una seconda che aveva necessità di consolidare le tecniche apprese prima della scrittura della fiction – si può far allenare gli studenti sul narratore esterno onnisciente, lasciando scegliere il tempo della narrazione e facendosi guidare dalle illustrazioni per stabilire la durata delle scene e il ritmo della narrazione. La scrittura diventa un modo di raccontare una storia precisa (e diventa in un certo senso l’inverso della richiesta – meno rigorosa almeno nella consegna – di illustrare una storia letta), che – voglio ribadire – non serve fare sempre e comunque, perché il silent è completo così, non gli manca la parola, e i ragazzi lo capiscono benissimo. Appurato, quindi, che questo tipo di proposta è messa in campo raramente e solo su aspetti utili al procedere del Laboratorio in una precisa classe, vi conduco, indietro nel tempo, in classe con me, a vedere cosa è successo dopo la lettura di un nuovo albo di David Wiesner.

 

I got it!

In seconda media, per ripassare le strategie di scrittura, ho proposto la lettura di I got it!, un albo quasi silent (c’è un’unica frase che riprende il titolo) scelto perché la storia è un “piccolissimo momento”: poteva essere dunque un ottimo mentor per uno small small moment utile per scrivere un breve ricordo, anche se ancora non avevo dichiarato l’intenzione di lavorare sul racconto autobiografico. In quel momento, dopo un modulo di poesia autobiografica, dovevo recuperare le strategie di scrittura narrativa applicate o trovate in lettura l’anno precedente e nel lavoro estivo su Come ho scritto un libro per caso. Volevo che studentesse e studenti leggessero “con gli occhiali dello scrittore” come un racconto poteva essere costruito; dovevo invitarli ad entrare nei panni dell’autore, per esplicitare le scelte narrative che avrebbero dato voce alle immagini da lui disposte nel raccontarci la storia, e consolidare, quindi, le strategie della loro cassetta degli attrezzi. Volevo fornire, pertanto, un’impalcatura leggera, un puntello prima di un’esperienza di scrittura narrativa autentica.
Prima di quello, ovviamente, dovevamo cogliere gli indizi visuali seminati da Wiesner, che ci avrebbero consentito di interpretare in maniera corretta la storia del protagonista del libro: un ragazzino desideroso di giocare a baseball, prima escluso dalla squadra, poi – una volta trovato il coraggio di proporsi – carico d’ansia e di presagi di fallimento che riempiono la sua testa e che noi vediamo inscenati su sfondo bianco, nel tempo rallentato di un lancio, con una climax ascendente strepitosa, fino al successo della sua presa1.

Ebbene, dopo alcuni incontri di Reading Workshop, dopo aver lavorato a più riprese sulle impressioni, sulle domande e sulla loro classificazione, sulle connessioni, sulle strategie narrative di rallentamento, suspence, climax…, dopo aver discusso e negoziato significati fino alla ricostruzione della comprensione del testo basata rigorosamente sulle evidenze delle immagini, ho proposto l’esercizio di narrazione scritta.
Questa la consegna:
«Prova a scrivere il testo del silent “I got it” in prima persona (fingendoti il protagonista) e in discorso indiretto. L’unico dialogo deve essere la frase del titolo: “L’ho presa!”».
Il testo andava scritto su Google Classroom, proprio per consentirmi di mettere più rapidamente a confronto le scelte narrative condotte da ciascuno studente. Ne è nata una tabella che ho costruito numerando i lavori – in modo che non si risalisse all’autore -, dividendo quelli narrati al presente da quelli al passato, annotando alcuni espedienti stilistici evidenziati poi nei singoli testi virgolettati. L’ho proposta in classe alla LIM e insieme abbiamo confrontato le scelte e discusso sulla loro efficacia e sugli effetti ottenuti. Avere una storia comune ben precisa ma non il vincolo di un testo scritto di partenza ha aiutato molto questa operazione. Dopo questa discussione, chi ha voluto è potuto tornare sul proprio scritto.

 

Uno sguardo ai testi dei miei studenti 

In alcuni testi è risultata più evidente la padronanza di strategie consolidate, come Mostra, non dire!, personificazione, linguaggio figurato, uso di dettagli sensoriali… Nella lettura in classe dei testi sono state facilmente riconosciute. Qui voglio soffermarmi, invece, su scelte narrative più ampie.

 

Costruzione del testo

Solo quattro degli studenti hanno scritto parole per un albo illustrato, spaziando da una scrittura minimale con poche didascalie che mantengono tuttavia la climax a un’articolazione per giustapposizione di sequenze, in un caso con brevi frasi, nell’altro con un periodare che si snoda tra le pagine. Gli altri studenti hanno costruito un vero e proprio racconto, che avrebbe potuto stare in piedi anche senza illustrazioni. Generalmente sono testi molto brevi, un paio sono più ricchi di dettagli, anche descrittivi, ben giustificati dalle immagini.

 

Scelte relative all’episodio

Mentre la maggior parte racconta l’episodio come “quella volta che”, tipica degli small moment, un paio di studenti si è immaginato che la dinamica vissuta dal protagonista era frequente (A volte mi sento escluso dal gruppo […] A volte mi sento più “piccolo” rispetto agli altri…) facendo anche ricorso all’esplicitazione delle metafore illustrate (poi come sempre, ogni volta che mi impegno, non riesco a prenderla o mi faccio male, comunque sempre brutta figura. Quando sto per prenderla mi sento schiacciato da un peso gigante).

Una studentessa ha posto una distanza cronologica tra la prima tavola e il racconto della partita, scelta corretta e ben articolata. Un altro allievo, ispirato dall’espressione soddisfatta del protagonista nell’ultima tavola, ha aggiunto un explicit semplice ma efficacissimo (Il baseball è uno sport bellissimo!).

 

Tempo della narrazione

La maggior parte degli studenti ha preferito raccontare la vicenda al presente, provando a dare voce alle sequenze narrative via via che accadevano, con maggiore efficacia. Con la narrazione al passato si poteva dare la percezione che l’episodio fosse un ricordo di valore, mettendo in evidenza proprio l’aspetto di momento di svolta tra un passato di esclusione e una successiva integrazione nella squadra di baseball. Un punto un po’ critico da gestire è stata la “consecutio temporum”, soprattutto nei rapporti di posteriorità, sia con la narrazione al presente sia con quella al passato. Far emergere ciò ha consentito di progettare in maniera più efficace un paio di minilezioni specifiche per gestire meglio questo aspetto linguistico.

 

Soluzioni stilistiche

Interessanti le soluzioni adottate per rendere con le parole i “film mentali” del protagonista durante il tentativo a rallentatore della presa della palla. Si va dall’utilizzo del futuro semplice (Di sicuro inciamperò su delle radici, cadrò per terra a faccia in giù e tutti rideranno di me! Oppure sbatterò di testa su un albero!…) all’esplicitazione dei timori del giocatore (Ma ho paura di inciampare…); da un discorso mentale pieno di interrogativi (ma se poi inciampo e cado? gli altri si metteranno a ridere di me; se poi inciampo su un albero e sbatto la faccia?…) alle ipotesi al condizionale che rendono espliciti i giochi della mente (potrei inciampare su una radice che magari non ho notato, mancare la pallina, scivolare a terra a pancia in giù e magari perdere anche una scarpa. Sarebbe davvero orribile e imbarazzante). C’è anche chi predilige la forma del monologo che narra e alla fine spiega che erano solo brutti pensieri (In quel momento penso a tutto quello che poteva succedermi se non fossi riuscito a prenderla: un ramo per terra mi fa inciampare, la scarpa mi sfugge dal piede, il cappello vola, degli uccelli intorno mi guardano. Cado a terra davanti ai miei nuovi compagni che si mettono le mani in faccia disperati, la pallina è a terra. Ora diventa sempre più irraggiungibile, i rami crescono e sbuca un albero dal terreno, gli uccelli sono sempre di più, vado a sbattere contro l’albero che è cresciuto ancora. Mi alzo e continuo a correre, la pallina diventa enorme sopra la mia testa, gli uccelli seguono la pallina. Sono in mezzo ai miei compagni, anche loro iniziano a diventare dei giganti e corrono verso la palla. / Mi aggrappo alla scarpa di uno di loro, arrivo ai suoi pantaloni, con un salto arrivo alla maglietta di un altro fino alla sua testa. Salto da una testa all’altra, sono enormi, tutti abbiamo le braccia tese verso l’alto per arrivare alla pallina, io ci sono quasi e finalmente grido: ”L’ho presa ”). E chi utilizza un espediente più onirico (ad un tratto mi proiettai in un mondo parallelo dove era tutto bianco e confuso, ma non mi importava, io volevo solo prenderei LEI. / In quel mondo iniziai a vedere immagini di vittoria e di sconfitta ma continuai a correre imperterrito…). 

 

Interpretazioni e spiegazioni

Per rendere esplicite a parole le previsioni di sventura c’è chi spiega tutto (la mia paura più grande è quella che io non riesca a prendere la palla o a inciampare. A volte penso a che cosa succederebbe…), chi prova a rendere l’idea (nella mia testa era come se non fossi in grado di prendere la palla…); chi esplicita le emozioni del protagonista (mi facevano sentire inferiore. Mi facevano sentire lo zimbello della squadra); chi rubrica tutto con la considerazione che Per fortuna erano solo brutti pensieri e chi, in maniera più articolata, mette in scena un continuo conflitto tra il protagonista e la sua mente, come vedremo poco più avanti.

 

Due esempi completi

Dopo questa rassegna, vorrei soffermarmi ancora un momento su due testi completi, di natura molto diversa. 

Il primo è la stesura della parte testuale dell’albo. Lo studente-scrittore ha lasciato silenzioso l’antefatto optando per un incipit in medias res e rendendo in maniera sintetica ma icastica gli indizi visuali del testo, offrendo una interpretazione matura dell’opera che spiega il senso del processo che si inscena nella mente del protagonista. Nell’altro la studentessa scrive un racconto in cui si combatte un duello, come si diceva, tra il protagonista e la sua mente.

 

1)

Lanciò quella palla, dovevo prenderla.

Poi mi misi a ragionare sul perché dovessi prenderla, nel mentre diventò tutto bianco, c’era solo la palla, dovevo prenderla per me stesso, non per gli altri o per piacere agli altri ma per me.

Mi avvicinai sempre di più era lì a pochi millimetri dalla mia mano.

Tesi la mano di più e…:

-L’ho presa!-

 

2)

Sono davanti alla recinzione del parco, fisso dei ragazzi che stanno giocando a baseball, il mio gioco preferito. Sono qui da 20 minuti ormai, aspettando che arrivi il coraggio per chiedere di poter giocare. Ci penso per gli ultimi 30 secondi, poi aggiro la rete e mi avvicino alle squadre. Cerco di fare una voce più profonda e poi domando di poter provare anche io. Un ragazzo più alto degli altri e che presumo sia il capitano, assume un’aria pensierosa, ma poi annuisce e mi indica dove devo andare. Il lanciatore avversario si prepara e poi colpisce forte la pallina, mandandola verso di me. La vedo sfrecciare e sorrido perché questo è il momento che preferisco. Ma piano piano il mio sorriso sparisce perché il mio cervello, instancabile guastafeste, inizia a immaginarsi le peggiori situazioni possibili: potrei inciampare su una radice che magari non ho notato, mancare la pallina, scivolare a terra a pancia in giù e magari perdere anche una scarpa. Sarebbe davvero orribile e imbarazzante. 

La pallina sfreccia e si avvicina velocemente. 

Ma ecco che il mio cervello se ne inventa una addirittura peggiore: potrebbero spuntare degli alberi che io cercherei di scavalcare, ovviamente senza successo, anzi, probabilmente andrei a schiantarmi di faccia contro il tronco dell’albero. Ecco, questa sì che sarebbe la mia fine. 

È sempre più vicina. 

Sottovaluto la mia mente però, che trova un modo ancora peggiore per aumentare l’agitazione mista a paura che provo adesso: potrei essere circondato dai miei compagni di squadra, e diventare talmente insignificante da rimpicciolirmi sempre di più, sempre di più… e poi, d’un tratto la pallina colpisce la mia mano e finisce nel guantone. “L’ho presa!” la mia voce risuona tra le urla dei miei nuovissimi amici e il mio cervello si gode semplicemente quello che sta succedendo adesso senza pensare a nessuna catastrofe. Finalmente. 

 

Alcune considerazioni finali

Un lavoro come questo, collocato quasi a metà del percorso del WRW nella scuola secondaria di I grado, ha consentito ai miei studenti dapprima di verificare la comprensione di un testo – dopo averlo sviscerato insieme – nel momento in cui si sono trovati a tradurlo in parole, e poi di mettere in campo le strategie apprese dando spazio alla propria sensibilità di scrittori.

È stato molto efficace trovare – dentro i limiti del canovaccio offerto uguale a tutti – il suono della propria voce che ha potuto esprimersi nella scelta di lunghezza e articolazione del testo, stile sintetico o descrittivo, ricorso a narrazione piana o infarcita di figure. L’efficacia è stata garantita perché ciascuno è entrato nel tavolo di bottega dell’altro, con la possibilità di dare (e ricevere) un feedback alla pari e di riflettere sulle proprie e altrui percezioni da lettore e da scrittore.

Questo lavoro lento ci ha consentito di vedere in quanti altri modi ciascuno avrebbe potuto lavorare, senza dover far ricorso a un modello di livello letterario né al mentor del docente, spesso considerato troppo lontano alla capacità di scrittura degli studenti.

L’occasione si è rivelata preziosa anche per me docente, per fare il punto sulle cassette degli attrezzi di ciascuno studente, sulla capacità di far fronte in maniera originale a uno stesso problema, per verificare la mia progettazione didattica e per raccogliere elementi di valutazione integrati da un’occasione di autovalutazione degli studenti. 

Un lavoro molto ricco per tutti noi, che ha portato preziosi frutti nei moduli di scrittura successivi.

 

 

Note

1) Si veda l’intervista dell’autore che racconta la storia dell’albo, alcune scelte stilistiche condotte e mostra i bozzetti di incipit che poi non ha utilizzato. Per avere, invece, una veloce idea dell’albo – funzionale alla comprensione dell’articolo – si rimanda a una presentazione online.

 

Nota bibliografica

David Wiesner, I got it!, Clarion Books, 2018.

Un analogo lavoro di scrittura da un silent è stato condotto e documentato da Silvia Pognante in questo articolo, dove racconta come – attraverso un modeling iniziale e la ricostruzione della storia letta in Flotsam – abbia spinto gli studenti a ripercorrere le strategie apprese nel processo di scrittura. 

Per un approfondimento sui silent book si rimanda alla lettura di Marcella Terrusi,
Meraviglie Mute. Silent book e letteratura per l’infanzia, Roma, Carocci, 2017.

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