“Quella volta che…”: albi illustrati come testi modello di small moments

“Quella volta che…”: albi illustrati come testi modello di small moments

Leggere small moment per scrivere small moment

Ci sono storie-cocomero, che raccontano di un periodo della vita, storie-fetta, che definiscono un argomento più preciso, e storie-semino, che raccontano nei minimi dettagli un piccolo episodio. I maestri del WRW propongono di prediligere uno zoom e scrivere scene molto focalizzate della propria vita ricche di dettagli, che chiamano “Small moments”. La metafora di Lucy Calkins sopra descritta serve a far capire agli studenti come affrontare il testo personale o autobiografico. Possiamo dedicare una minilesson offrendo un esempio chiarificatore, o proporre un’immersione nel “genere”, in ogni caso è molto importante scegliere mentor text giusti. Si prediligono testi compiuti, non brani antologici, per offrire un modello concluso in se stesso, su cui sia possibile tornare più volte. Pertanto la scelta del docente alterna spesso racconti brevi ad albi illustrati.

Il valore aggiunto degli albi

Gli albi illustrati (picture book) sono un vera e propria forma narrativa dove l’illustrazione non è meramente didascalica e subordinata al testo. La relazione testo-immagini può costruire dissonanze, sovrapposizioni, variazioni di stili e toni… Gli albi più efficaci sono senza dubbio quelli dove c’è uno scarto tra i due elementi, dove ciascuno di essi, cioè, rivela un aspetto che l’altro linguaggio non dice: sarà l’immaginazione del “lettore dentro il libro” a colmare quel gap. Egli ne sarà in grado quanto più terrà presente simultaneamente quattro livelli: parola, immagine, grafica (caratteri, impaginazione…), oggetto libro (anche in forma, formato, materiali, invenzioni cartotecniche, “limiti” della pagina, copertine, risguardi, giro della pagina…), che si compenetrano costantemente. Chi legge sarà chiamato a far dialogare tutte le informazioni (estetiche, narrative, contenutistiche, emotive), perché negli albi è evidente che la forma è anche contenuto. Immersi come siamo continuamente nelle immagini, è fondamentale (ri)acquisire oggi questa competenza di lettura e interpretazione. Anche più dei testi scritti, gli albi alleneranno il lettore in una negoziazione di significati che gli studi di Louise M. Rosenblatt negli USA (The Reader, The Text, The Poem: The Transactional Theory of the Literary Work, 1978) ma anche di Umberto Eco in Italia (Opera aperta è del 1962) ci hanno abituato a considerare: le infinite possibilità di interpretazione che risuonano dall’albo alla quotidianità del suo lettore, sia esso bambino o adulto, che nel dialogo attorno alla lettura diventano costruzione comune e in qualche modo democratica di significati (sempre nel rispetto del contesto e dell’autore). I maestri del WRW (Frank Serafini, Lucy Calkins, Jennifer Serravallo, solo per citarne alcuni) usano puntualmente picture book nei loro laboratori di lettura e di scrittura o nell’avvio di circoli letterari, alla ricerca di impressioni, connessioni e domande (riassunte in un classico schema tripartito ad Y). Diventa così, l’albo stesso, un contenitore di domande, un suscitatore di punti di vista.

Tre albi per small moments

Nel mio percorso di immersione per lavorare sugli small moment, ho preso in esame tre albi, a mio avviso molto belli ed efficaci, sui quali ci sarebbero da scrivere interi capitoli. Mi limiterò a qualche assaggio.

Il primo è Un grande giorno di niente, di Beatrice Alemagna, edito in Italia da Topipittori, tra i migliori 10 albi illustrati selezionati nel 2017 dal New York Times. Narra la storia di un bambino che in un “giorno di niente”, nella noia di una giornata uggiosa inizialmente uguale a tante altre, riesce a fare attenzione al mondo attorno a lui e vivere così un’avventura inaspettata. Racconta, di “quella volta che” ha distolto lo sguardo dal suo videogioco caduto nello stagno e ha guardato le cose da un’altra prospettiva, sollecitato da tutti i suoi sensi finalmente risvegliati, fino a riacquisire un nuovo sguardo su se stesso, e ad essere guardato in modo diverso anche da sua madre. Il testo dell’Alemagna è una miniera di minilesson, su cui conviene tornare più volte: l’incipit, le descrizioni sensoriali, l’uso del lessico preciso, la climax, la “montagna della storia”, “mostra non dire”, il ritmo, l’explicit riflessivo… e ovviamente la narrazione in prima persona. Un esempio perfetto di small moment da cui prendere spunto per un quick write.

Il secondo albo, poetico e delicato, che ho proposto con uno schema ad Y, è La zattera, di Olivier de Solminihac (testo) e Stéphane Pouline (illustrazioni), edito in Italia da Orecchioacerbo. Anche esso narrato in prima persona, racconta una giornata al mare vissuta da tre personaggi, animali antropomorfi, che trovatisi senza attrezzatura, quando la minaccia della noia – ancora una volta – incombe, si inventano un’attività estemporanea ed eccitante: la costruzione di una zattera con i materiali raccolti in una spiaggia di dune (molto simile a quella da me visitata l’estate prima sul Mare del Nord). Rilasciata in mare la zattera, bisogna immaginare dove arriverà, e l’immaginazione dei bambini protagonisti diventa anche quella dei lettori. Le annotazioni degli studenti sono state raccolte in uno schema ad Y sintetico alla LIM dove le connessioni con esperienze personali o con storie conosciute hanno lasciato il passo alle domande interpretative (Gli animali rispecchiano – come nelle favole – tipi umani caratteristici? Che rapporto lega i protagonisti?). La carica evocativa delle immagini ha aggiunto significati al testo, raccontando una storia ulteriore.

E dove non ci sono le parole? Anche un silent book (o wordless book, come è chiamato nel mondo anglosassone) è entrato nell’immersione. Si tratta del meraviglioso Flotsam di David Wiesner, vincitore della Caldecott Medal nel 2007, di cui purtroppo non esiste ancora un’edizione italiana, ma non avendo apparato testuale, si può lavorare agevolmente con un’edizione straniera. Il protagonista è un ragazzino, anch’egli in spiaggia con la famiglia. Ha con sé strumenti vari per indagare il mondo, lente e microscopio per ingrandire le cose piccole, cannocchiale per guardare lontano. La struttura, l’impaginazione, il giro di pagina sono passaggi fondamentali in questa storia, dove uno strano strumento arriva sulla spiaggia, buttato dalle onde come un relitto tra tanti. È una macchina fotografica subacquea di marca Melville, con dentro un rullino da sviluppare. Il ragazzo scopre, dopo un’attesa per lui insolita dal fotografo, foto di un mondo sottomarino, popolato da creature incredibili e da pesci meccanici, che la fotocamera nel suo viaggio ha immortalato (Ma come è possibile?). E alla fine c’è la foto di un bambino in spiaggia con in mano una foto, che in una mise an abime, mostra – uno dentro l’altro – tanti altri bambini con una foto in mano: autoscatti che portano a osservare non solo scene sempre più piccole ma anche indietro nel tempo. Il protagonista si inserisce in questa storia, e tenendo in mano la foto dei suoi predecessori, si scatta un “selfie” e lancia la macchina verso un nuovo viaggio. E fino a qui, lo small moment è sensazionale. Ma la storia non è finita. C’è un cambio di protagonista? La narrazione si sposta a seguire il viaggio della fotocamera, trascinata da vari animali attraverso l’oceano, fino a una nuova spiaggia, a una nuova bambina. La minilesson quel giorno lì confesso che è diventata maxi. I ragazzi, eccitati, hanno proseguito per due ore a cercare dettagli, a elaborare interpretazioni. Ma io ero tra loro, a condividere un’operazione culturalmente esaltante, a scavare un “testo” e a formulare ipotesi. Infine hanno dato voce alla storia, scegliendo le parole per raccontarla, prima oralmente poi per iscritto, cercando di essere fedeli sia alla storia sia alle tecniche usate per narrarla con le immagini.

E dopo l’immersione?
Dopo una tabella che metteva a confronto i tre albi (trama, argomento, caratteristiche del protagonista, tecniche di scrittura individuate, aspetti piaciuti), il laboratorio è proseguito, dal taccuino alle bozze di un testo personale su un episodio autobiografico. Ma l’esperienza degli albi per loro è rimasta potente, modelli efficacissimi per comprendere strategie, tecniche, toni, sfumature. E per me è stata la via per riunire due vecchi amori: lo scavo filologico nei testi e la passione per le opere d’arte in cui indagare significati nascosti. Se è vero che il nostro insegnamento è efficace se trasmette passione, be’, so di avere nel lavoro con gli albi illustrati alla secondaria uno strumento meraviglioso per appassionare ai libri, leggere in profondità e ispirare processi di scrittura ricchi e organici.

Una postilla: il troppo piccolo poetico

Nella parte finale del suo libro sui silent book, Marcella Terrusi sostiene che spesso la narrazione negli albi richiama l’osservazione sul dettaglio o sulla complessità. Per il primo caso conia la categoria del “troppo piccolo poetico”, che può essere un dettaglio che dà senso nuovo a una giornata. Questa definizione mi pare proprio l’essenza che si coglie negli albi sugli small moment che ho raccontato sopra, che mettono l’accento su “quella volta che”, cambiando lo sguardo, le cose hanno assunto una forma inaspettata. Mi piace, allora, chiudere con la citazione di un libro che ho conosciuto proprio grazie a questo saggio, un albo con un testo esile, ma molto ricco, edito da Topipittori nel 2010, che si intitola Gli uccelli (di Zullo e Albertine). Il testo integrale è il seguente:

“Potrebbero sembrare giorni qualunque. Ma hanno qualcosa in più. Non molto. Solo un dettaglio, Minuscolo. Di solito non ci si fa caso. Perché un dettaglio non è fatto per essere notato. Ma per essere scoperto. E se ci concediamo il tempo di vederlo… appare. Qui o là. Minuscolo. Ma, all’improvviso, così presente… da diventare immenso. Un dettaglio è un tesoro. Un vero tesoro. Non c’è tesoro più grande di un piccolo dettaglio. Un solo, minuscolo dettaglio può illuminare una giornata. Un solo, minuscolo dettaglio può cambiare il mondo”.

Non resta che aguzzare la vista e affinare lo sguardo. Ed allenarlo esplorando albi illustrati.

Per approfondire

F. Serafini, The Reading Workshop. Creating Space for Readers, Portsmouth, Heinemann 2001
L. Calkins – A. Oxenhorn, Small moments: Personal Narrative Writing, Portsmouth, Heinemann, 2003
A. Chambers, Siamo quel che leggiamo. Crescere tra lettura e letteratura, Modena, Equilibri, 2011
Hamelin, Ad occhi aperti. Leggere l’albo illustrato, Roma, Donzelli, 2012
M. Terrusi, Albi illustrati. Leggere, guardare, nominare il mondo nei libri per l’infanzia, Roma, Carocci, 2012
M. Terrusi, Meraviglie Mute. Silent book e letteratura per l’infanzia, Roma, Carocci, 2017

Ulteriori segnalazioni
Recentissimo il contributo di A. Capetti, A scuola con gli albi. Insegnare con la bellezza delle parole e delle immagini, Milano, Topipittori, 2018, in cui l’autrice racconta il suo lavoro di maestra ed educatrice alla lettura alla scuola primaria.

Sulla letteratura illustrata per l’infanzia e la lettura nella fascia della scuola dell’infanzia si segnalano, inoltre, vari contributi di Rita Valentino Merletti (anche con Bruno Tognolini) e di Silvia Blezza Picherle (anche con Luca Ganzerla).
Infine occorre citare il saggio di A. Faeti, Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l’infanzia, pubblicato nella 1° edizione con Einaudi nel 1972, negli anni in cui – fa notare la Terrusi – venivano alla luce la Grammatica della Fantasia di Rodari, Le città invisibili di Calvino, i primi volumi di Munari, legati tutti alla capacità di produrre, leggere, raccontare immagini. Ma questa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta.

Condividi


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *