Autobiografia dell’autobiografia

“S’incomincia con un temporale”. O, per meglio dire, “s’incomincia con l’autobiografia”.
Se alla scuola secondaria di primo grado e alla scuola primaria la scelta dell’approccio iniziale con il laboratorio di scrittura è più libera per quanto riguarda i generi, e può soprattutto considerare l’idea di prendere il via con la poesia, alla scuola secondaria di secondo grado la scelta sembra molto più obbligata: l’organizzazione del lavoro al biennio non presenta la ricorsività dei generi tipica degli altri due gradi, e prevede pertanto di affrontare la poesia in seconda – a meno che non si voglia provare a scardinare tutta una serie di abitudini.
Non è un caso, per dire, che il recente Il club delle storie1 parta proprio dall’autobiografia (“Inizia qui il tuo viaggio”, p. 2), così come non è un caso che il primo genere affrontato nella serie delle monografie Erickson sia dedicato all’autobiografia2. Nel nostro sito sono numerosi i contributi (per esempio Carlotta Pasteris e Linda Cavadini), e da poco è stato pubblicato tra le narrative di Mondadori education uno tra i più amati dei testi autobiografici: Boy, di Roald Dahl3.
Ma in questo articolo mi piacerebbe non tanto giustificare una abitudine che ormai è consolidata, quanto piuttosto tornare a raccontare come è andato il mio percorso con una classe prima. Vorrei in particolare portare l’attenzione sulla riprogrammazione in itinere e sull’analisi del percorso svolto. Il punto, infatti, mi sembra questo: oggi la situazione è molto diversa da quando, ormai anni fa, è iniziata la nostra sperimentazione. Sono stati pubblicati e tradotti testi fondamentali (vedi bibliografia del sito), che guidano chi si affaccia al WRW o chi vuole semplicemente trovare degli stimoli; e quindi proprio lì si possono cercare numerose idee, ampie casistiche, strumenti per l’impostazione generale. E poi ci sono la pratica, la vita concreta in classe, le deviazioni consapevoli, i cambiamenti necessari.
Per il mio percorso in prima avevo pianificato un modulo di dodici ore, dal 23 ottobre al 20 novembre, utilizzando spesso tre delle quattro ore settimanali di italiano (una è dedicata alla lettura individuale). Ero consapevole che si trattava di tempi troppo stretti, per cui avevo anche già immaginato un possibile sforamento di qualche ora. Per l’immersione ho scelto questi testi:
- l’albo Io parlo come un fiume di J. Scott e S. Smith;
- due racconti presi da “Il club delle storie” – in particolare il testo de Il fazzoletto bianco di V. Boldis e “Perché scrivere?” di P. Auster;
- un brano, presente nella loro antologia, tratto da Open di Agassi;
- un capitolo tratto da B. Pitzorno, Donna con libro;
- il racconto che Giacomo, uno studente che ora è in terza, aveva scritto alla fine del laboratorio.
L’elenco, osservato così, sembra contraddire alcune delle “regole” che ripetiamo in formazione; e c’è un motivo. Open, pur nascendo come capitolo di romanzo e non come testo a sé stante, si giustifica perché la classe è a indirizzo sportivo: quel brano, per altro con una struttura abbastanza simile a un racconto, era dunque fondamentale per ragionare sulla nascita delle proprie passioni sportive. Il capitolo di Pitzorno, invece, serviva a rappresentare anche se in minima parte l’alternanza di genere (gli altri testi erano tutti di autori maschi): si tratta comunque di un memoir, e i singoli capitoli costituiscono spesso delle unità concluse.
Cosa è cambiato nel percorso reale?
Rispetto a quanto letto, l’aspetto più evidente è stato la stroncatura da parte della classe del brano di Pitzorno. Essendo già le routine del laboratorio avviate, gli studenti e le studentesse si sono sentiti liberi di esprimere il loro parere e dare una valutazione a quanto stavano leggendo; e hanno sentito che il “racconto” non reggeva. Avevano in parte le loro ragioni; il vero motivo per cui non riuscivano a entrare in sintonia con la protagonista è la sua narrazione di successo scolastico, legato allo studio e alla memoria. Insomma: una ragazza molto (troppo) diversa da loro, che trattava male il cugino perché non riusciva a memorizzare un testo, che discuteva del suo amore o meno per Manzoni. Tutte esperienze che loro rifiutano o sentono lontane; ma che hanno saputo giustificare, questo per me è l’aspetto fondamentale, non con un generico “non mi piace”, ma cercando motivazioni con l’applicazione delle strategie (“in questo racconto non c’è uno spannung chiaro e quindi manca la tensione, per questo mi sembra noioso”). Non certo il risultato che sognavo, ma un risultato che mi ha fatto capire che l’impostazione del lavoro era stata efficace.
Al contrario, la lettura del racconto di Giacomo, che doveva servire nei miei progetti a mostrare una seconda narrazione legata allo sport, ha destato l’interesse di tutti. La classe ha ritenuto il racconto tra i migliori, al pari de Il fazzoletto bianco, perché l’ha sentito vicino a un loro possibile orizzonte di scrittura. Inoltre sono stati galvanizzati all’idea di incontrare l’autore; e quindi, sentita la disponibilità di Giacomo, proprio lui è venuto in classe a rispondere alle loro domande, che hanno riguardato in parte la scrittura, in parte il laboratorio, in parte il contenuto del racconto stesso. Proprio in relazione quest’ultimo punto è successo un meraviglioso imprevisto: dopo una domanda tecnica di uno studente sulle regole del calcio, io ho capito che non avevo compreso quel passaggio, perché mi mancava un’informazione essenziale che Giacomo aveva dato per scontata. Allora tutti insieme abbiamo ragionato sul funzionamento della comprensione, e ne è nata una minuscola ML di scrittura (non canonica, non formale, ma molto efficace): quando scrivi, pensa che il tuo insegnante ti deve leggere e deve capire. Che tradotto significa: immedesimati nei possibili destinatari e ricorda che devono comprendere quello che tu scrivi, non dare per scontati i dettagli.
I tempi non sono cambiati tantissimo rispetto a quanto preventivato: anche se l’intervista a Giacomo non era prevista, si è rivelata molto più veloce la fase finale dell’immersione con la raccolta delle caratteristiche del racconto autobiografico. Se nella mia mente questa prima esperienza deduttiva doveva occupare molto tempo, nella realtà studenti e studentesse, a coppie, hanno rilevato con una certa precisione le caratteristiche fondamentali, e in alcuni casi si sono spinti anche nei particolari.
Le differenze più sostanziali rispetto alla programmazione riguardano invece la parte di percorso relativo alla scrittura.
Avevo previsto circa sei ore per la scrittura del racconto, pensando già comunque che i tempi non sarebbero bastati e che probabilmente ce ne sarebbero volute altre due, almeno per alcuni e alcune. Lascio sempre un margine piuttosto ampio nelle prime unità di scrittura, perché è importante per gli scrittori e le scrittrici confrontarsi in modo metacognitivo sui tempi e avere comunque le ore necessarie per concludere il lavoro.
Ogni progetto, però, va incontro ai suoi intoppi: e in questo caso mi sono ammalato proprio la settimana in cui la classe doveva affrontare la parte conclusiva del percorso di scrittura. Pertanto, ho indicato via email che concludessero il lavoro di scrittura nelle ore di supplenza, ipotizzando che avrei poi dovuto riprendere tutto e che di fatto non avrebbero chiuso il lavoro. La soluzione non mi piaceva, perché non avrei potuto affrontare le ML che avevo pianificato, tuttavia, dato l’avvicinarsi della fine del periodo di valutazione, non potevo fare altrimenti. Ma mi sbagliavo per due motivi: anzitutto, la classe si è dimostrata pronta a lavorare anche senza di me, e ha sostanzialmente portato a termine il lavoro (tra un certo stupore da parte di un paio di colleghi, che hanno fatto loro i complimenti per l’autonomia e il relativo silenzio). Al contempo, però, hanno avvertito l’assenza delle strategie di scrittura e si sono quindi sentiti sperduti rispetto al lavoro da fare – a dimostrazione, se mai ne avessi avuto bisogno, di quanto le strategie si rivelino una componente fondante del laboratorio per gli scrittori e le scrittrici.
Al mio ritorno, dopo aver lasciato comunque le due ore previste per concludere il lavoro (e tutti e tutte hanno usufruito dell’opportunità, soprattutto perché sentivano la necessità di avere da me delle consulenze di scrittura), ho infine raccolto i loro racconti.
Che, per essere generici nella valutazione, non erano un granché.
E per forza: non erano stati sostenuti da strategie specifiche nella seconda parte! Oltretutto, ho ormai capito che per la classe affrontare per la prima volta il laboratorio richiede molta energia mentale per comprenderne le dinamiche, dato che tutto è diverso e quindi non ancora prevedibile.
Una vera valutazione è tale se vale per la classe ma anche per l’insegnante (su questo vedi la riflessione di Cristiano Corsini4). Pertanto, se avessi lasciato il lavoro così, sospeso, non sarei di fatto entrato in profondità nel processo. E quindi pazienza: riconsegnati i testi, ci siamo presi ulteriori quattro ore per revisionare i racconti con tre strategie specifiche di revisione.
Nella maggior parte dei casi, il risultato è stato ottimo: guidati dalle strategie e dalle mie indicazioni specifiche sul testo (“l’incipit non è efficace”, “qui non capisco cosa vuoi dire”, “secondo me manca un passaggio”, “questa parte è noiosa”), scrittori e scrittrici hanno revisionato il testo in modo profondo, in alcuni casi riducendo il racconto originale di più della metà – dato che avevamo lavorato sull’importanza di tagliare i passaggi inutili e concentrarsi sull’essenza della narrazione.
Devo dire che l’imprevisto della mia assenza ha portato per me un aspetto positivo: l’importanza dell’esperienza della riscrittura, che avevo spesso effettuato in modo più blando perché i ragazzi del biennio tendono ad annoiarsi di più, a rifiutare di svolgere una seconda volta lo stesso compito.
Nel complesso, posso considerare il percorso simile a quello che avevo già svolto negli anni precedenti, ma al contempo con alcune differenze sostanziali che lo hanno reso più efficace. In effetti è questa la duttilità dell’impostazione laboratoriale della didattica: anzitutto comporta una riflessione sull’azione da parte dell’insegnante, e in seconda battuta è prevedibile nella sua struttura generale ma non nei risultati – che sono spesso migliori di quelli ipotizzati.
NOTE
1) F. APOLLONI, L. BIANCHIN, D. CAROLLO, F. GIARETTA, M. MARUZZO, Il club delle storie, La Nuova Italia 2024.
2) S. POGNANTE, R. RAMAZZOTTI, Il racconto autobiografico con il metodo WRW, Erickson 2022.
3) Apparato a cura di Daniela Pellacani e Roberta Ruotolo.
4) C. CORSINI, La valutazione che educa, Milano, FrancoAngeli 2023.

Avevo due sogni: fare l’insegnante e scrivere. Il primo, intanto, l’ho realizzato.
Lavoro presso l’Istituto Tecnico “G. Galilei” di Arzignano, collaboro con l’Università degli Adulti di Vicenza, tengo corsi di scrittura. Parlo di libri con i ragazzi e le ragazze in qualche club dei lettori.