Novembre – taccuini (un tema del mese sui generis)

Novembre – taccuini (un tema del mese sui generis)

I più assidui frequentatori del blog avranno certamente notato la variatio: ebbene sì, quest’anno forziamo il tema autobiografico novembrino dirottandolo verso uno strumento del laboratorio di lettura e scrittura che può essere nostro alleato. Un luogo dove anche noi docenti possiamo raccogliere spunti di lettura, riflessioni metacognitive, sperimentare il percorso proposto agli studenti, ritrovare insieme a loro tesori per nuovi pezzi. Volevamo anche fare un po’ di spazio per lanciare una nuova rubrica, che può proseguire anche nel gruppo fb, oltre che ogni tanto qui sul nostro sito: uno sguardo sui nostri taccuini del lettore, sulle annotazioni di lettura su libri che stiamo leggendo, per portarli poi in classe nel lavoro quotidiano. Un lancio come si deve necessita attenzione, e quindi questo ci è sembrato il momento migliore.

Cosa non troverete: come si usa il taccuino con i ragazzi, come si decora il taccuino e altro che sta già tra le pagine del blog e nel libro di Jenny Poletti Riz, “Scrittori si diventa”, oltre che nella bibliografia dei maestri, che in calce riporteremo. Ma volevamo ritagliare uno spazio per noi insegnanti alle prese con le pratiche del laboratorio, perché in questo periodo abbiamo bisogno di un ricostituente per supportare i nostri studenti in un laboratorio e in una scuola che diventano ogni giorno più difficili e necessari.

Allora attingiamo dai libri e dagli autori, i nostri energetici più forti. Ricordiamo come anni fa sul nostro gruppo fb avevamo ricevuto in dono un racconto su come alcuni scrittori usano i propri taccuini.
Tutto era partito da un post di Benedetta Bonfiglioli (qui il pezzo che racconta una recente e strepitosa formazione con lei).

Due righe per gli IWT, con profonda gratitudine e stima per ciò che siete e che fate.
Il taccuino dello scrittore secondo me
di Benedetta Bonfiglioli

Ne ho di due tipi.
Al primo appartengono i quadernini, i blocchi, il cellulare, i foglietti sparsi che tengo in borsa, sul comodino, in macchina, nell’agenda e che ospitano i miei pensieri, le mie riflessioni, le istantanee che catturo mentre sono in viaggio, in classe, alla guida, mentre ascolto una canzone, guardo un film, sono a teatro, al cinema, al ristorante, in chiesa, nei corridoi, mentre incontro, vedo, sento, ascolto, osservo le persone.
Tutti questi taccuini sono me. Sono molto intimi, espressione vera di me stessa e del mio sentire. Ho spesso l’impressione di esistere solo quando scrivo.
E lì io esisto.
Al secondo tipo di taccuino invece appartengono i miei grandi blocchi di scrittura: sono album da disegno formato A3, rilegati a spirale; su questi miei grandi blocchi do forma alle storie che poi diventano libri; su questi lavora lo scrittore-artigiano.
Qui appunto le storie in germe, le idee, gli incidenti narrativi, le scene, i dialoghi, i personaggi e i loro gusti, i personaggi e le loro relazioni, i personaggi e le loro storie personali.
Su una pagina bianca scrivo una sinossi di massima.
Su una nuova, incipit, climax, conclusione.
Su un’altra ancora snocciolo i capitoli, uno ad uno, ciascuno con i dettagli, la scena, i dialoghi, tutto ciò che porta al passo successivo, alla scena successiva, al capitolo successivo o il rimando a un punto lontano nella trama, e il cliffhanger al capitolo successivo.
Se ci sono dei punti nel plot che non mi convincono, li affronto su un foglio nuovo, mettendoli sotto una lente di ingrandimento per mettere a fuoco quello che non va (credibilità del personaggio, scarsa incisività di un incidente narrativo, mancanza di nesso causa-effetto, coerenza temporale, tempi narrativi, incoerenza di punto di vista/ narratore ecc.).
I colori per le descrizioni e le idee le prendo dai taccuini in cui esisto.
Quando questo scheletro è quasi pronto accendo il pc.
Man mano che affronto la narrazione spesso aggiusto e aggiungo, usando post-it colorati.
Sui taccuini del primo tipo scrivo a pennarello, alternando i colori ad ogni entry, perché a colpo d’occhio si veda il passare del tempo e il cambio di argomento. Sul grande blocco, invece, scrivo solo a matita, e ricalco a pennarello solo a narrazione conclusa.

Allo scambio di commenti conseguenti a questa perla, sollecitato dalla nostra Ivonne, aveva risposto Gabriele Clima (ricordo un paio di articoli su letture ad alta voce dai suoi libri: Continua a camminare e Il sole fra le dita):

Riguardo al taccuino, be’, il taccuino, lo porto sempre, io, un taccuino formato mignon, che possa stare in un taschino. Ormai è irrinunciabile, per me, è come una seconda pelle, o una seconda casa. Il mio taccuino è il rifugio delle idee migranti, delle onde che non trovano la costa, dei pensieri-farfalla che mi volano davanti cercando la punta della penna sulla carta. Sul taccuino annoto tutto, un pensiero, un’idea, una frase, una canzone, una poesia, una storia, un sentimento, una cosa scema o una cosa intelligente, una lacrima versata, un sorriso ricevuto, una massima ascoltata nel bar di una stazione, un dialogo rubato a vecchi innamorati, un’occhiata, una smorfia, un’espressione… Il taccuino è il mio secondo ‘esserci’, esserci nel mondo, intendo, abitare il momento senza perderne la luccicanza. Da un taccuino sono nati libri, storie, personaggi, titoli, episodi, brani interi; e altrettanti sono morti, vivendo in quelle pagine minute l’unico loro momento di splendore, persi poi nella stringente logica di una narrazione che alla fine deve scegliere, scartare, disossare. Ma lì, in quel taccuino, in quelle pagine, anche ciò che è andato perso resta, c’è ancora, lo ritrovo; li sfoglio, ogni tanto, i miei taccuini, a turno, come album di fotografie, musei viventi di tutte le cose formate e non formate che, di fatto, mi costituiscono. Ecco. Il mio taccuino. Il mio guardare. Io.

E a domanda rispondeva:

l’abitudine al taccuino è nata tardi, per necessità, direi, come strumento del mestiere: troppe cose che sfuggivano, troppe idee che svaporavano, avevo bisogno di fissarle. Poi è diventato un modo di pensare, poi un modo di sentire. Ora è un modo di essere, io e il mio taccuino, sempre insieme, e quando lo dimentico (è rarissimo ma capita, cambio di giacca o di borsa, per lo più) mi sento nudo. Un taccuino è uno strumento eccezionale, indipendentemente dal lavoro di scrittore. Un modo dolce e forte di abitare il mondo.

A volte il gruppo fb riesce ad assomigliare anche ad un taccuino colmo di tesori da recuperare, un po’ come l’invito di Loretta De Martin ai suoi studenti che racconta nell’articolo: Viaggio nel taccuino a caccia di gioielli dimenticati, o come Silvia Pognante ci esortava a fare la scorsa Pasqua come esercizio collettivo:

I nostri taccuini, come quelli dei nostri alunni, traboccano di ottimo materiale di scrittura. Hanno un potenziale che neanche immaginiamo. Non solo: sono specchio del nostro essere, prima ancora che del nostro essere scrittori e lettori. In questo tempo di pausa abbiamo pensato di proporvi una bella sosta rigenerante invece che tante attività giornaliere. Risfogliate i vostri taccuini, cercate frasi che sporgono, parole che emergono e usatele come incipit di  una nuova annotazione o di un nuovo pezzo. Nessuna scadenza, nessuna data di consegna. Nessuna sfida. Naturalmente, se vi fa piacere, potete condividere con noi non solo il vostro pezzo ma anche le riflessioni che la rilettura del taccuino ha fatto emergere in voi relativamente alle potenzialità di questo strumento.


Nel gruppo facebook di Italian writing teachers troviamo qua e là dei post meravigliosi sul taccuino e sulla nostra pratica riflessiva da parte di colleghi che utilizzano questo strumento in tutte le sue potenzialità, non solo come bacino di attivatori (ricordiamo che si tratta di una scelta ben precisa che va modellata dal docente, non tutti i maestri americani, ad esempio, li utilizzano, vedi Nancy Atwell). Una ricerca tematica potrà aiutarvi a recuperare tanti spunti di riflessione sulle varie pratiche del laboratorio. Tra i tanti qui ne voglio recuperare due. Il primo è il recentissimo contributo di Daniela Pellacani, che rifletteva sulla sua classe reduce dal lavoro in DAD:

La mia seconda ha tanto bisogno di crescere. È una finta seconda: l’anno scorso non hanno avuto il confronto occhi negli occhi quando si riflette tutti insieme su un libro. Al primo giro di valutazione dei taccuini ne ho trovati alcuni allo stesso livello di febbraio: leggono sì, annotano anche a casa ma si fermano alla risposta più superficiale. Enrico, ad esempio, scrive che la sua protagonista ha una statuetta della Madonna sul comodino e capisce che è un simbolo. Si ferma lì; gli suggerisco di chiedersi se la fede è un valore per il personaggio o per la sua famiglia, se lo è per lui e se da questo confronto capisce meglio le scelte del personaggio. Queste domande dovrebbe già farsele da solo. Alcuni si limitano ad annotare cosa è accaduto nel capitolo appena chiuso… Decido perciò di mettere in atto l’unica attività che funziona sempre: più modeling. Se voglio che pensino, devo dare più tempo per farlo in classe, più occasioni per beneficiare delle idee degli altri e più tempo per ascoltarmi mentre ragiono a voce alta.

Chi ha la fortuna di recuperare il post del 23 ottobre, può leggere gli esempi che Daniela porta su come ricostruisce la comunità di lettori lavorando sulle domande, facendo osservare loro i testi con occhi da scrittore, con strategie che aprono lo sguardo, e poi i frutti arrivano. 

L’altro post è una riflessione del 2018 di Linda Cavadini:

Sto sfogliando i taccuini dei ragazzi. Uno strumento difficile e complesso, proprio perché  poco strutturato, uno strumento che prevede molta autonomia. Negli anni mi accorgo di averlo plasmato sui ragazzi: molte attività, molte domande, molti stimoli vengono da me. Solo qualcuno inserisce “cose sue, annotazioni libere”; non necessariamente i ragazzi più bravi e diligenti, più spesso quelli più creativi e naive. Abituarli ad un uso quotidiano e costante, dopo gli iniziali entusiasmi, è stato importante. Loro sanno che dopo ogni attività, ogni riflessione in classe, devono prendere le loro idee, uscite magari di getto dalla bocca, e dar loro forma scritta. Misura. Scrivere è pensare prendendosi il lusso del tempo. Mi colpiscono tanto le connessioni e le domande che scrivono partendo da un testo: segno che vogliono scavare in profondità dopo essersi tuffati nelle parole. Piano piano stanno diventando critici letterari: non è forse la critica una storia personale di lettura? Sul loro quaderno di italiano, dove scrivono le bozze, prima di consegnarmi i testi editati o lavori più strutturati, ritrovo spesso semini piantati nei taccuini, ma devo sempre spronarli a scrivere considerando i tesori messi nel taccuino. Riflettendoci è un lavoro difficile: si tratta di organizzare e dare forma a fonti personali. Spesso ho dubbi sul taccuino, sulla sua reale efficacia: rileggere le annotazioni in fila da settembre mi ha mostrato stamattina i progressi nella strutturazione del pensiero, nella profondità di veduta, nell’affinarsi di un certo sguardo. Non è il taccuino “il miracolo”, ma il lavoro costante, continuo, pressante che c’è dietro e di cui il taccuino è forma ed espressione. (Poi sono sicura che aver avuto un mio taccuino fin da piccola abbia il suo peso).

Anche il nostro blog, grazie ai tag, squaderna una bella rubrica tematica sul taccuino, oltre al fatto che gli dedica tra i materiali una pagina di approfondimento e una sezione delle faq. Tra gli articoli usciti – giusto per richiamare il tema sottotraccia dell’autobiografia – ricordo il processo descritto da Linda Cavadini dal taccuino al testo autobiografico, raccontandoci come i suoi studenti lo vedono e lo apprezzano; o quello mostrato da Laura Bacchi ed Anna Maria Mercuri con i piccoli dal disegno alla scrittura, passando per il taccuino-quaderno.

Insomma: quali articoli pubblicheremo in questo mese? Non resta che scoprirlo insieme. 

Intanto vi lascio con quanto riportato nella quarta di copertina del volumetto di Ralph Fletcher riportato in bibliografia:

Writers are like other people, except for at least one important difference. Other people have daily thoughts and feelings, notice this sky or that smell, but they don’t do much about it.
Not writers. Writers react. And writers need a place to record those reactions. That’s what a writer’s notebook is for. It gives you a place to write down what makes you angry or sad or amazed, to write down what you noticed and don’t want to forget…

Per approfondire


P.S. – Altra variatio: questo pezzo, nato per essere un redazionale, è diventato un vero e proprio articolo, e come tale ha una firma. Speriamo che sia l’unica eccezione in queste settimane nuovamente in bilico tra presenza e distanza. Buon lavoro a tutti!

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