Il Decalogo di Schio

Il Decalogo di Schio

È nata a tavola l’idea di mettere in dialogo appassionati di letteratura giovanile, a confrontarsi sui titoli più amati, cercando di estrapolare le caratteristiche che fanno di un libro quello perfetto. Era una cena di lavoro in cui quattro persone condividono idee su come immaginano il Festival “Schio legge”: due insegnanti, Stefano Verziaggi ed io, e due libraie, Chiara ed Elisa Fasolo, anime e corpo di Il colore del grano di Schio. Progettare festival di letteratura non è il lavoro di nessuno di noi quattro, in verità. Ma non è il solo perimetro che abbiamo velocemente oltrepassato quella sera: ci siamo ritrovati a chiacchierare dei nostri titoli del cuore, una specie di schermaglia di avvicinamento, ognuno schierato in angoli diversi del salotto, a metterci alla prova. Chiara sfilava volumi dalla libreria di Stefano; Elisa consultava cataloghi sul telefono, e ci siamo assaggiate così. Prima dell’orario in cui ha vinto il sonno, mi avevano ufficiosamente accolta nel team

Se il format ha funzionato così bene per noi, ci siamo dette a sguardi, sarà ancora meglio quando sul palco metteremo autori e autrici a confrontarsi sui loro titoli preferiti, quelli che li hanno forgiati e spinti a scrivere. Che li ispirano, come dicono gli adolescenti nelle interviste agli scrittori. 

Chiedendo ai protagonisti di prepararsi per questo incontro, Stefano lo ha delineato con queste parole:

L’appuntamento è stato pensato come “coccola”, un regalo per tutti quegli adulti appassionati che mettono il loro tempo e la loro competenza a servizio dei veri protagonisti del nostro lavoro: i giovani lettori e le giovani lettrici. 

La struttura potrebbe essere piuttosto semplice. Ciascuno di noi sceglierà due libri per ragazzi: l’idea sarebbe che uno sia di un autore o un’autrice presente al festival, l’altro libero. Spiegherà in massimo 5 minuti perché ama quel libro, perché lo ritiene importante per l’educazione alla lettura, perché lo ha cambiato come lettore, cosa ci trova… insomma, una breve presentazione accattivante. Poi gli altri potranno fare domande – criticare – approvare – demolire etc. Apriremo ovviamente la discussione anche al pubblico.

Ne dovrebbe emergere un quadro composito: da una lato una bibliografia di partenza (almeno dieci titoli!) dall’altro un modo di lavorare che ha come centro non tanto il libro, ma la discussione, il ragionamento, il confronto tra professionisti. I libri non saranno presentati per tema o come libri medicina, ma per la loro complessità e per il rapporto che hanno con noi lettori. Vorrei anche che passasse l’idea, non sempre ovvia, che per lavorare sulla lettura bisogna leggere e conoscere.”

 

Hanno fatto parte di questo team estemporaneo Caterina Guagni, Marco Magnone, Alessandro Q. Ferrari, Stefano Verziaggi, Ilaria Bernecich, Simona Malfatti ed io. Ci siamo messi al lavoro da remoto, quindi, ed è stato divertente incontrarsi, finalmente di persona!, direttamente sul palco la mattina del 29 maggio a Schio, e riconoscersi sul terreno comune della nostra passione, la lettura. 

 

La serie di contributi che leggerete nelle prossime settimane è il nostro modo per rimanere in contatto, per aprire il confronto a chi non era presente, per dare spazio ai libri che non c’è stato tempo di citare eppure sono fondamentali, per mettere nero su bianco la risposta alla domanda che ogni docente di lettura e scrittura dovrebbe farsi scegliendo cosa proporre alle classi: COME DEVE ESSERE/CHE CARATTERISTICHE DEVE AVERE UN BUON LIBRO? 

 

Ci piacerebbe chiamarlo Il decalogo di Schio: un tentativo di canone della letteratura giovanile, accogliendo la proposta che Aidan Chambers ha lanciato nel suo saggio L’età sospesa

 

Comincio io. Com’è un buon libro secondo me: prima di tutto onesto. Non deve pretendere di farmi la morale, perché se ho comprato un romanzo e non un saggio, un motivo ci sarà.  Questo però non significa che mi aspetto pura evasione, so che chi scrive ha urgenza di farsi ascoltare: la sua visione sul mondo lì dentro la troverò, ci saranno i suoi dubbi, la sua esplorazione di una fetta di realtà. Eppure anche io lettrice vivo la realtà, e chi scrive dovrebbe sapere che non può impormi un punto di vista facile, senza lati in ombra. Questa è l’onestà che intendo: mostrami tutto quello di cui fanno esperienza i tuoi personaggi, e se sarò pronta, ci penso da sola a trovare un insegnamento di vita, a mettere eventualmente in crisi quella che fino a lì era una mia certezza. Mi è successo più volte leggendo letteratura giovanile; da adulta, ho vissuto punti di vista mai incontrati nella mia vita, e ho permesso che quelle storie aprissero degli spiragli, mi costringessero a non restare ferma sulle mie limitate posizioni. 

A pensarci meglio, nemmeno un saggio può sottrarsi al dovere dell’onestà. Descrivendo un fenomeno, o sostenendo una tesi, per forza i dati e le fonti mettono in luce anche contraddizioni, dubbi, rischi e incertezze, effetti collaterali e cadute… la realtà è così. A volte non hai facoltà di scelta fra la strada giusta e quella sbagliata: ogni tanto, ne hai davanti solo due molto penose, e devi tentare di cavartela percorrendo quella che supponi porterà a una risalita (Dante, per esempio…). Mi aspetto che un libro onesto, saggio o romanzo, mi faccia appassionare anche a storie così… Solo per fare esempi noti: il finale disincantato che accomuna due capolavori, Hunger games e Harry Potter, che mostrano una guerra civile in cui gli eroi integerrimi rischiano il linciaggio, mentre i fiancheggiatori della dittatura restano saldi al potere, come fosse il dopoguerra italiano. 

Ne ho tanti in testa di titoli che sono riusciti a cambiarmi, ma il gioco qui è isolarne soltanto due, e il mio primo è L’Europa in viaggio, Storie di ponti e di muri di Marco Magnone. È un saggio, e introduce ogni argomento con pagine di narrativa, biografia o autobiografia. Il primo capitolo ricostruisce l’assalto terroristico sull’isola di Utoya dal punto di vista di una delle vittime, e ha la forza di coinvolgimento tipica delle scene d’azione. Segue l’intervista di Marco a una delle sopravvissute, in un alternanza di dialoghi, dati, riflessioni. Non mancano biografie tratteggiate con pennellate vivaci di protagonisti della Storia, come Altiero Spinelli, ed episodi autobiografici, che permettono al lettore di vivere le stesse connessioni dell’autore: dalla scala europea al proprio vissuto di cittadinanza. Non ha bisogno di esplicitare questi collegamenti: li mostra. 

È un livello di complessità superiore rispetto al capitolo di un libro di testo sull’UE, da sfogliare strato per strato, eppure molto più inclusivo e avvicinabile, grazie agli inserti narrativi. Inoltre, una trattazione multigenere e multidisciplinare è il modello ideale di ciò che si richiede agli esami finali del primo ciclo e alla maturità, ovvero scardinare la separazione, tipica della scuola, tra il sapere utile per la valutazione e quello che mi aiuta a comprendere il presente, quello che mi aspetta fuori dalle pareti di un’aula. 

Strumenti simili non possono mancare nella biblioteca di classe, altrimenti si rischia di passare implicitamente il messaggio che la buona scrittura si esercita soltanto nella narrativa, quando invece ormai lo storytelling permea ogni tipologia testuale esistente e non solo.

 

Prima di svelare il mio secondo titolo, lascio spazio ad amiche e amici che hanno voluto condividere questa sfida e regalarci un loro contributo scritto. 

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