Scegliere la complessità, scegliere il loro sguardo: una lettura a voce alta di The Frozen Boy di Guido Sgardoli

Scegliere la complessità, scegliere il loro sguardo: una lettura a voce alta di The Frozen Boy di Guido Sgardoli

The success of the reading workshop centers on the love of reading and literature, and the way that this love is shared in this literature community. What drives the reading workshop is the community of readers that is created.

Frank Serafini

 

Scoperta
Primavera 2020, pieno lockdown: grazie ad un webinar a cura di Matteo Biagi scoprivo il romanzo The Frozen Boy di Guido Sgardoli (Edizioni San Paolo, 2011). Era nella mia biblioteca fresco e intonso nella sua algida sovraccoperta quando, agli sgoccioli delle vacanze estive, mi innamoravo della storia che vi è narrata e pensavo che sarebbe stata perfetta per la mia terza secondaria di primo grado, una classe che ha fatto fatica a sviluppare la routine di lettura, ma che mi aveva dimostrato, con la lettura a distanza de L’anno in cui imparai a raccontare storie, di poter restituire impegno ed entusiasmo se ben guidata e pungolata. Una classe nella quale più d’un alunno/a ha interessi e propensioni scientifiche.
La prima esperienza di lettura, semplicemente da lettrice, mi aveva regalato belle emozioni legate alla trama, allo spessore dei personaggi, ai dialoghi, alle scelte linguistiche e alle ambientazioni – adoro i romanzi con una vena storica e con paesaggi evocativi e influenti!
Il romanzo, ambientato su due piani temporali, il 1846 e il 1946, racconta la storia di Robert Warren, scienziato che ha contribuito alla sperimentazione delle bombe atomiche, inviato in una base scientifica in Groenlandia dove, corroso dai rimorsi e gravato dalla pena per la recente morte dell’unico figlio, decide di suicidarsi gettandosi da una scogliera. Proprio allora intravede un riflesso nel ghiaccio, che conserva – incredibilmente – il corpo di un bambino ancora in vita. Di fronte alla volontà dei militari della base di farne una cavia per ricerche scientifiche, Warren prende l’estrema decisione di portarlo via. Come si muoverà una volta lontano dalla base? Quali sono i suoi piani? Ma, soprattutto: da quale tempo e luogo proviene il bambino?

 

 

Progettazione
Le potenzialità di questo testo per una lettura a voce alta erano per me molteplici e (quasi tutte) chiare: si trattava di una storia nella Grande Storia che attraversava due continenti più un oceano, che conteneva un mistero e diversi colpi di scena, a cavallo tra verosimiglianza e fantascienza, con personaggi sfaccettati e in evoluzione e una lingua ricercata. Sentivo che la mia attrazione per questa storia sarebbe passata a loro e che sarebbe stato bello percorrere assieme il cammino.
Allo stesso tempo, però, ero abbastanza consapevole della complessità di questo testo, data principalmente da ragioni strutturali e linguistiche:

  • l’assenza di una divisione in capitoli con relativa difficoltà di percezione del ritmo – la narrazione è suddivisa, infatti, in tre parti;
  • l’esistenza di due piani temporali il cui intreccio è dato da frequenti flashback che appaiono come ricordi sfumati del bambino, segnalati in corsivo, e quindi dall’alternarsi – anche per brevi periodi – del punto di vista;
  • una lingua ricercata, caratterizzata da ipotassi e ricca di metafore.

Era, insomma, il libro “sfidante” con cui agganciare immediatamente i miei al rientro dalle vacanze estive, ovvero dalla lunghissima assenza dai banchi di scuola causata dal Covid-19 (ben sei mesi!).
Nelle prime settimane di settembre ho quindi pianificato un’ ipotesi di lavoro sul testo, procedendo per tappe:

  1. ho riletto il libro individuando le pagine previste per ogni sessione di lettura, nel rispetto dei tempi di attenzione e del ritmo narrativo;
  2. ho appuntato le domande più significative da porre sulle pagine lette per favorire la discussione in classe;
  3. ho pensato e scritto alcune minilesson sugli aspetti più rilevanti del testo, ma anche quelli che sapevo di dover colmare per averci lavorato poco in passato;
  4. ho progettato alcune attività possibili da proporre in classe, soprattutto annotazioni scritte ed eventuali quickwrite;
  5. ho creato una presentazione Google d’appoggio, dove ho inserito domande, ML, istruzioni, esempi, richiami al testo che avrei via via aggiornato e modificato in base all’andamento della lettura.

Scrivere le domande, all’inizio, mi ha aiutato molto a focalizzarmi su quelle veramente valide, aperte, stimolanti scartando quelle chiuse, piatte, banali che – per lunga esperienza da studentessa e breve da docente – avrei rischiato di porre.
Ho cercato, per dirla con Aidan Chambers,

«quelle domande, generali o specifiche, capaci di far emergere le riflessioni latenti o di aiutare i bambini e i ragazzi ad esprimere pensieri ancora indistinti».

Era un po’ di tempo, poi, che avrei voluto sperimentare l’uso del taccuino vagabondo per la creazione e il consolidamento della comunità di lettori e lettrici e, dopo aver ascoltato un webinar tenuto per Indire da Jenny Poletti Riz, l’idea della sua versione digitale mi aveva convinta a lanciarmi.

 

 

Proposta operativa
3, 2, 1…si parte! Dopo la consueta fase di accoglienza – quest’anno ancor più dura per via della lunga assenza – a ottobre cominciamo la lettura del libro: alcuni lo acquistano, ma non è d’obbligo. Dato che ho deciso di sperimentare il laboratorio a blocchi, per ben due mesi e mezzo ci concentriamo solo sulla lettura del romanzo: tre volte alla settimana, per un’ora circa (con qualche flessione d’orario per esigenze varie).
Ogni sessione di lettura è accompagnata dall’immancabile thinking talking: le mie domande sollecitano anzitutto le impressioni sulla storia e via via che ci inoltriamo nella conoscenza dei personaggi e dell’intreccio, stimolano inferenze e guidano anticipazioni. Il modeling resta necessario soprattutto nel riportare lettori e lettrici – che spesso abusano un po’ delle ultime due! – alle parole del testo. In particolare alcuni son convinti che lo scienziato abbia causato da sé la morte del figlio con un’esplosione atomica e faccio non poca fatica a richiamarli alla realtà storica (ma il gap sul periodo ha pure la sua responsabilità) e a quella testuale, in cui si afferma genericamente che il figlio di Bob è morto in guerra.
Ogni mia domanda – me ne rendo conto – li spinge sempre un po’ di più verso la conoscenza della storia ma anche dei loro processi di pensiero (Da cosa lo comprendi? Come te lo spieghi? Cosa te lo fa pensare? Come definiresti …? Cosa pensi stia accadendo? Ti sembra che …?).
Accanto alla discussione, propongo – soprattutto all’inizio – annotazioni scritte e minilesson relative al paratesto, al setting, ai personaggi, alla lingua e ai temi/simboli del racconto. Spesso le annotazioni sono precedute o comunque accompagnate da un confronto orale in piccolo gruppo (turn and share), sempre nel rispetto della normativa anti-Covid.
Il taccuino vagabondo – che chiedo di aggiornare almeno una volta alla settimana – si rivela uno strumento veramente efficace: la lettura delle ultime annotazioni crea aspettativa, alimenta il dibattito, pungola i più “pigri” e tiene traccia dell’intreccio.
A partire dal paratesto e dal prologo.

Scrive S.:

Questo libro dalla copertina (nel mio caso quella disegnata tutta sui toni del celeste) non mi è piaciuto per niente a dirla tutta forse non l’avrei mai letto, ma mi sbagliavo anche perché tutte le volte che ci fermavamo con la lettura in classe mi rimaneva quel senso di suspense. Facendo riferimento al secondo commento di Rebecca, volevo aggiungere che in alto a destra ho notato che c’è un salvagente che mi ricorda il prologo.

 La complessità della lingua emerge via via nelle loro annotazioni e due belle sessioni di lettura sono dedicate alla decodifica lessicale – per la quale ci affidiamo all’infografica di Loretta De Martin, “Cosa significa?” – e allo stile.
Metafore e similitudini in prosa arricchiscono infatti il ritrovamento e la descrizione del bambino (e spianano la strada a quella che sarà, poi, la lettura simbolica del testo): dopo aver richiamato le loro conoscenze, chiedo di ascoltare attentamente e di annotare le immagini, infine condividiamo le annotazioni e le formalizziamo in un insegnamento: 

  • La similitudine è … un paragone tra due elementi che hanno in comune una qualità (colore, forma …). Esempio: viso incolore come d’acqua. Serve ad arricchire la nostra immaginazione e comprensione di lettori;
  • La metafora è… un paragone tra due elementi che hanno qualcosa in comune, ma non è introdotta dal come. Esempio: il cielo è ghiaccio, il ghiaccio è cielo. Ha lo stesso effetto della similitudine.

 Un’attività che si rivela valida, anche nelle successive annotazioni. Scrive R.:

Mi sono piaciuti molto i paragoni in questa parte del capitolo, ad esempio: il cuore del grande cervo suona lento come la campana della chiesa durante un funerale; il cuore delle lucertole batte veloce come il pestello nel mortaio quando la mamma polverizza le erbe per gli infusi.

È il lavoro sui personaggi, però, che coinvolge maggiormente i lettori e le lettrici: grazie ad una tabella a doppia entrata (cosa fa/cosa pensa) approfondiamo il protagonista, Robert Warren, e ragioniamo costantemente sulle relazioni che intrattiene con gli altri e sulla sua evoluzione. Scrivono R. e L.:

Non serve dire che il libro mi sta attirando sempre di più, soprattutto con il cambiamento di comportamento da parte di Warren nei confronti del ragazzo del ghiaccio, che gli fa avere dei pensieri su suo figlio (e quindi gli fa ricordare quest’ultimo). Un’altra motivazione per me, di pensare che Robert si stia addolcendo. Inoltre a me piace il cliché dei personaggi cupi, che lentamente diventano aperti.

Noto anche che Warren prima aveva un carattere introverso cioè chiuso e non parlava con nessuno ma da quando è avvenuta la conoscenza di un bambino nel ghiaccio Warren ci teneva molto es: gli leggeva le poesie, libri di scienze lo andava a trovare in infermeria quindi pian piano sta diventando molto più tenero e socievole.

La parte centrale del libro, e così del taccuino, è dedicata soprattutto a Jim – il bambino del ghiaccio. Il suo spaesamento, la sua compromessa condizione fisica, i suoi ricordi hanno l’effetto di avvicinare lo sguardo dei lettori e delle lettrici al suo, stabilendo in modo più naturale connessioni con il proprio vissuto.
Scrivono A. e A. (che intervengono molto poco sul taccuino):

Le ultime pagine lette sono molto belle perché il ragazzino si sveglia e l’unica cosa che non mi piace molto è l’invecchiamento rapido del ragazzo.

 Il ragazzo del ghiaccio sta invecchiando velocemente, si trova in un posto sconosciuto e senza famiglia e amici, io al suo posto sarei sperduto.

 Cui fanno eco R., R. ed E.:

Per il bambino ho proprio un nodo alla gola perché ci tengo davvero molto non voglio che venga usato come strumento di vantaggio da parte di Ollister […] Anche se il bambino ha uno strano modo di descrivere le cose dal suo punto di vista è una cosa che non mi dispiace affatto. Mi sta facendo sentire come se io fossi ad esempio una ragazzina di molti, molti anni fa e casualmente mi risvegliassi nel 2020, insomma è un gran passo!

Il senso di solitudine che prova lo percepisco/riconosco dal fatto che nei suoi ricordi parla sempre dei fratelli, basta pensare a quando nel suo ricordo aveva parlato della loro passione per i rettili, o come in questa parte del libro, della loro paura delle cornacchie.

Mi è piaciuto molto il ricordo del bambino in cui dice di avere paura delle cornacchie perché mi ha ricordato quando nei cartoni animati (mi pare anche in un episodio di Mr. Bean) mettevano in primo piano gli occhi della cornacchia e il personaggio ne rimaneva terrorizzato.

Non è un caso che l’altro grande argomento di discussione (e annotazione) sia il rapporto che si è creato tra lo scienziato e il bambino, la “seconda possibilità” per Warren di essere un padre presente e affettuoso. E non sfugge l’influenza di Jim sull’atteggiamento di Warren tanto che E. annota: non è più il Warren “grigio” adesso è un Warren quasi “colorato”.
Si avvicina la fine della storia… cominciano ad affiorare i significati profondi, suggeriti dal testo stesso. Scrive R. sul taccuino:

Si è aperto l’ultimo capitolo: verde. Molto probabilmente perché è un colore simbolo dell’Irlanda, dove si trovano Jim e Warren. […] Guido Sgardoli riesce in una pagina a raccogliere i tre titoli dei capitoli ed associarli ad eventi del libro: bianco come la neve o la barba di BobWarren, blu come il mare, dell’auto, degli abissi pieni di mostri, e verde come le brughiere, montagne o alberi. Quest’ultimo era il colore che si ricordava Jim. Che ci fa capire la sua vita, nella dolce natura.

Propongo ai ragazzi due minilesson sui simboli, con relative attività: il sasso ritrovato nelle tasche dei pantaloni di Jim e i colori che danno il titolo alle singole parti del libro. Concludiamo con una sessione sul tema e il messaggio della storia, che ci dà la possibilità di sostare ancora nelle pieghe dei personaggi – grazie anche ad un finale aperto che, se da un lato delude le aspettative, dall’altro, come scrive S., “(ci fa) immaginare la conclusione della storia a modo nostro, e questo mi è piaciuto molto.”

 

 

Rielaborazione dell’esperienza e valutazione
Il taccuino ha funzionato per me anche da termometro per la storia e, facendo un bilancio rispetto agli interessi e a ciò su cui avevo maggiormente lavorato in passato, ho proposto ai lettori e alle lettrici di realizzare individualmente uno dei seguenti lavori:

  • Scrivere uno spin off del racconto, intitolandolo al colore che potesse rappresentarlo di più;
  • Scrivere una lettera a Robert Warren;
  • Disegnare la mappa dei luoghi ripercorrendo le diverse parti del racconto (strategia di comprensione piuttosto che di rielaborazione come mi sono accorta in seguito e che difatti nessuno ha scelto);
  • Disegnare una copertina alternativa.

  La scelta è ricaduta per alcuni (pochi) sullo spin off, soprattutto per coloro che sentivano il bisogno di riempire un buco di trama, come lo ha definito R.: sono nati così Nero, come la notte del viaggio in nave e Grigio (che, mi ha spiegato A., ben si adeguava alla vita del figlio di Warren, poco curato dal padre, poco approfondito dallo scrittore). E mi ha stupito un alunno neo arrivato che, nonostante le difficoltà di concentrazione e la scarsa partecipazione mostrati in classe ma con una spiccata propensione per la grafica, ha realizzato una bellissima copertina rielaborando la trama in modo efficace. Ci sono state poi lettere molto sbrigative, senza alcun aggancio profondo alla storia, e lettere che hanno saputo ripercorrerla come fossero una vena pulsante gli eventi e le emozioni del racconto: scrive R. a Bob “quello che conta è la volontà e l’affetto con cui hai fatto tutto […] le seconde possibilità esistono e tu le hai trovate”.


Per la valutazione mi sono affidata a due distinte rubriche, una per il processo e un’altra per il prodotto. Il voto è risultato dalla media delle due, dove la prima ha avuto però un peso maggiore. La valutazione, condivisa con la classe prima delle richieste finali, ha quindi tenuto conto dell’ascolto, della partecipazione e della compilazione del taccuino da un lato; del rispetto della traccia, dei tempi, della chiarezza e correttezza della forma dall’altro. La condivisione dei lavori finali, con il commento delle scelte formali per le copertine e la lettura delle lettere e degli spin off, mi ha aiutato a focalizzare meglio alcuni elementi di valutazione. Ma, soprattutto, ha avuto l’effetto di farci abitare ancora un po’ questa bella storia.

 

 

 

Riflessione
In chiusura di modulo ho, tra le mani, risultati importanti ma anche alcune criticità (avrei potuto lavorare di più sulla trama e prevedere ritmi più serrati) e qualche domanda.

  • Se il taccuino vagabondo fosse stato cartaceo i contributi sarebbero stati maggiori e più costanti?
  • Avrei potuto agganciare il modulo di lettura ad un’immersione nella fiction, ricavandone magari dei mentor da riproporre in scrittura?

Poi, se ripenso a come ho scelto e creato questo percorso, penso di aver sfidato anzitutto me stessa come persona, e poi la mia comunità di apprendimento. Ho sfidato le mie certezze, il mio perfezionismo, la mia smania di pianificazione per pormi due priorità: il cuore del testo e la fiducia nell’interpretazione dei ragazzi.
Sento che è andata bene così, che la lettura ha potuto – tra le altre cose – dove fallisce la memoria: ripercorro le loro annotazioni sul taccuino e si materializzano davanti a me le nostre discussioni, la scelta delle parole e la condivisione dei ragionamenti. In una parola: il loro sguardo sulla storia, ma poi, alla fine, su loro stessi e sul mondo.
Perché, oltre al tempo, alla pazienza e all’amore della letteratura, l’ingrediente fondamentale è quello: the faith in the children as curious, literate human beings trying to understand the world and their place in it. Serafini docet.

 

Bibliografia
Guido Sgardoli, The Frozen Boy, Edizioni San Paolo, 2011
Frank Serafini, The Reading Workshop. Creating Space for Readers, Heinemann, 2001
Aidan Chambers, Il lettore infinito, Equilibri, 2015
Italian Writing Teachers, Un anno di lettura a scuola, 2020
Elisa Golinelli, Sabina Minuto, Amano leggere, sanno scrivere, Pearson, 2019

 

Martina Micillo

Da piccola declamavo storie a memoria e scrivevo lettere da inviare per posta. Insegno in una scuola secondaria di Roma dove porto, sposto, catalogo, presto, ma soprattutto scopro e faccio scoprire loro: i libri. Dal 2017 il WRW è entrato nella mia vita e nelle mie classi.

 

 

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