Lettura: obbligo sì o no?

Lettura: obbligo sì o no?

Mesi fa è nata una piccola polemica sulla nostra pagina Fb. Ci si confrontava sui compiti delle vacanze estive e si era finiti a discutere dell’opportunità di obbligare alla lettura di un numero minimo di libri. Rodari e il Decalogo del lettore di Pennac già decenni fa ci avevano chiarito che no, non è una buona idea. 

Chi di noi è lettore forte, sa d’istinto che l’obbligo ammazza il piacere. Ma ogni classe è un microcosmo unico, giusto? Ogni lettore e lettrice ha necessità diverse, no? Inoltre, dovremmo avvalerci di risultati di ricerche specifiche e non solo almeno della nostra esperienza personale e professionale, per allargare lo sguardo (penso ai progetti nazionali ed europei che prevedono l’obbligo di lettura per tutti/e durante le ore curricolari). Allora provo a riprendere la questione dell’obbligo dal punto di vista dei miei bilanci di fine anno e fine di un ciclo, il quarto che saluto da quando lavoro col WRW. 

Cosa hanno fatto diversamente alunni e alunne che escono competenti e critiche rispetto a quelli/e che restano superficiali nell’analisi, a volte intuitivi ma con molte difficoltà ancora di comprensione e di autonomia nel muoversi dentro a qualunque tipologia testuale? A dire la verità, forse più che il confronto tra fascia alta e quella appena sufficiente, a guidare la riflessione sul mio operato è l’analisi della crescita di chi risulta eccellenza e chi in fascia intermedia. Questi ultimi sono meno sicuri nell’interpretazione, approssimativi nell’analisi, e i loro testi (recensioni e saggi letterari) non hanno il carattere della completezza. In estrema sintesi: avrebbero potuto, nell’ultimo anno, fare un passaggio in più rispetto al proprio standard, ma si sono accontentati. 

Credo che sia questo il punto da cui si può apprezzare quale fattore ha determinato la differenza fra i percorsi. Al netto, superfluo dirlo, di disturbi dell’apprendimento e condizioni socio-culturali di origine, diversa maturazione personale e momenti di difficoltà. Al netto di questi, noto che la differenza la fanno proprio la quantità e la continuità del lavoro individuale. Solo questo ha permesso a ciascuno di superarsi, accedere a nuove idee, nuove modalità di lavoro, nuove domande da farsi su un testo e al testo. 

Qualche esempio reale, identificato da nomi di fantasia.
Germano, sostenuto da una famiglia che legge e scrive, appassionato di fantasy e manga, non ha fatto un solo passo avanti nel triennio, avendo interpretato come facoltative le annotazioni sul taccuino. Le annotazioni sono un pungolo, risposta a una serie di domande che all’inizio arrivano da me docente, dall’esterno, ma pian piano  vengono interiorizzate e ne gemmano di nuove ad ogni lettura, spingono, anzi, a cercare esperienze diverse quando ci si avvicina alla BDC! Senza questo stimolo costante, Germano è rimasto bloccato in quei due generi letterari, non ha migliorato la velocità di lettura (quindi nemmeno la fluidità, presupposto per la lettura profonda), spesso anzi è rimasto sulla stessa pagina per un mese perché non procedeva a casa (anche l’obbligo delle pagine da leggere a casa per lui era opzionale). L’esito di questo non-lavoro, superficiale e sfilacciato, è che non era grado di fare analisi e confronti, connessioni fra i testi o con la propria esperienza. Peccato perdere così un buon punto di partenza!

 

Barbara, lettrice curiosa e affamata fin dalla prima, ha accolto da subito il taccuino del lettore come spazio intimo, ne ha personalizzato l’uso; fu tra le prime a farmi la domanda che ritengo spia del salto di chi ha trovato nella propria vita lo spazio da dedicare alla lettura. È la domanda che in ogni classe prima attendo con curiosità e impazienza, per condividerla come conquista collettiva: – Prof, ma va bene se io nel taccuino non ho applicato una strategia ma ho scritto dei pensieri miei che mi venivano mentre leggevo? 

Quando arriva questa domanda, fermo le attività e la ripeto a voce alta: – Lettori e lettrici, Barbara chiede questo: che rispondiamo? 

Per alcuni è il decollo. Lo è stato anche per Giovanni, suo compagno brillante e curioso, un ragazzino per nulla ingessato negli schemi di comportamento della preadolescenza che etichettano la lettura come hobby da femmine. Fino alla seconda, è stato così: ha letto di tutto e ha annotato senza mai preoccuparsi di parlare di sé stesso; è stato intuitivo nelle interpretazioni, che ha sostenuto e sviluppato seguendo in modo costante le mie proposte. Dopo la seconda, ha cambiato le priorità, si è accontentato delle acquisizioni critiche già consolidate. Ha smesso di imporsi una crescita, di sperimentare sfide, e non ha fatto i progressi verso l’autonomia e la completezza che ho raccolto, invece, nei lavori finali di Barbara.

Il WRW si nutre di un intreccio tra lettura e scrittura. Qualunque corso di scrittura batte e ribatte sulla necessità di restare allenati per andare oltre la superficie, trovare la nostra vera voce. 

E poiché, quando posso, obbligo anche me stessa a letture più intense, o fuori dalla mia comfort zone, so per esperienza che anche le competenze di lettura migliorano grazie ad allenamento e sforzi costanti. Resto dell’idea che l’obbligo di aumentare la quantità di quanto leggono, potendo scegliere titoli e generi, sia imprescindibile per approfittare dei tempi distesi estivi e recuperare un gap. E questi presupposti li ritrovo negli studi recenti sul cervello che legge, motivo per il quale il numero 134 della rivista Liber fa da copertina a questo pezzo. 

 

A scuola, abbiamo il dovere di colmare lacune su cui la famiglia non è stata in grado di dare un contributo. Lacune nell’esperienza, non quelle nozionistiche. Diamolo un numero obbligatorio di libri, con rielaborazione guidata pre e post lettura, ovviamente: sappiamo bene che non sto parlando di una scheda libro né della presentazione improvvisata ai compagni. Dobbiamo programmare le proposte didattiche: come prepararli, per quali obiettivi, e come li rafforzeremo poi. Consiglio di partire da qui.

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1 thought on “Lettura: obbligo sì o no?”

  • condivido pienamente! L’obbligo non deve essere visto come forzatura ma come sollecitazione e invito ad andare oltre.. le proprie comodità.

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