Pillole di domande (ovvero l’arte di fare domande)

Pillole di domande (ovvero l’arte di fare domande)

Oggi, sarà l’aria autunnale, ci permettiamo di fare un gioco. 

Spesso fra le varie tecniche che proponiamo per l’analisi del testo ci sono le domande, strumento necessario per costruire gli apprendimenti. Ma troppo spesso usate solo in modalità interrogazione, sfida di botta e risposta tra alunno e docente. Vi proponiamo un altro modo di utilizzare le domande, non per indagare ciò che gli studenti sanno su un argomento che dovrebbe essere noto, ma per costruire insieme a loro l’interpretazione del testo.

Ci siamo domandati, dunque: come scrivere un articolo sulle domande in modo che sia efficace? Quali sono le domande sulle domande che noi stessi ci siamo fatti e a cui abbiamo provato a dare risposta?

Ecco, siamo già in pieno cortocircuito da domande. Perché questo fanno le domande, se poste bene: aprono porte e generano domande nuove, difficilmente implicano solo risposte.

Siete pronti? Andiamo a incominciare.

(Per la cronaca il nostro interlocutore resterà anonimo, potrebbe essere infatti ciascuno di noi che scriviamo e di voi che leggete. E, come nei trattati del Cinquecento, ci saranno altri interlocutori, che proveranno a rispondere alle domande, come di fatto è successo via Telegram in un’afosa mattina di agosto, in cui si ragionava tra noi sull’arte di porre le giuste domande, per aiutare i nostri studenti a cercare.)

Cari i miei compagni professori, che cosa significa fare domande dopo la lettura di un testo?

Linda: Le domande servono a mettere in moto il ragionamento e la ricerca, non devono essere chiuse e sciocche.

Sto facendo or ora un compito con mio figlio: ha appena letto un racconto cui segue batteria di domande vero/falso. La prima domanda è “i due protagonisti sono amici?” e si dà il caso che i due protagonisti siano fratelli. Qual è la risposta giusta? Forse che due fratelli non possono essere amici? Quale informazione ricavo da questa risposta, a che mi serve? Perché porre questa domanda ambigua, senza permettere discussione?

È una domanda che costringe a rispondere quello che il maestro si aspetta. Una domanda che chiude, che non innesca alcun percorso di ricerca. Domande di questo tipo non sono generative, non mettono in atto alcun tipo di ragionamento, non costruiscono conoscenza.

Agnese: Come si dice nel libro Making thinking visible: “domande che costruiscono sono quelle che permettono a chi legge di avanzare nella comprensione. Ci sono domande che permettono ai ragazzi di fare connessioni, interpretazioni, di focalizzarsi sul tema del testo e sui concetti centrali, di ampliare le proprie idee e così via.”

L’unica vera domanda che va ripetuta continuamente ai ragazzi è “Cosa te lo fa pensare”? Ad esempio: “Simone è spaventato: cosa te lo fa pensare?”

Ma allora perché dobbiamo fare domande? Non possiamo semplicemente spiegare?

Maria: Dobbiamo fare domande perché dobbiamo tirare fuori (Socrate!) quello che già esiste nei ragazzini. Gli alunni sanno dentro di sé che Agamennone è un prepotente arrogante e che, nonostante sia solo un primus inter pares, si comporta da despota, ma difficilmente verrà fuori senza che noi abbiamo chiesto loro quali sono le parole che trasmettono il comportamento di Agamennone e quali le accuse che gli rivolge Achille (A me i troiani non hanno fatto niente, io sono qui per tuo fratello, rispettami). La domanda è una provocazione che costringe a tirare fuori e argomentare. 

Stefano: Dobbiamo fare domande per costruire assieme nuove interpretazioni. La comunità interpretante, infatti, funziona se si parte da una questione, da un dubbio, e non da un assunto. A meno che tale assunto non sia trasformato in una domanda (“Leopardi era pessimista” – “Leopardi era davvero pessimista?”).

Loretta: Dobbiamo fare e farci domande per insegnare ad interrogarsi di fronte a ciò che leggiamo e a ciò che vediamo. Il pensiero critico si sviluppa solo con l’esercizio, con l’abitudine ad osservare il mondo con sguardo interrogativo, ad andare oltre le domande di superficie ponendoci la seconda domanda (e la terza, la quarta…). 

Dobbiamo fare domande per mostrare loro il nostro impegno, la nostra vita intellettuale, come interroghiamo il testo ed il mondo.

Ma che tipo di domande dobbiamo fare?

Daniela: Se devo fare delle domande di cui so la risposta, tanto vale che io faccia lezione con quelle risposte lì, che quelle cognizioni/nozioni a cui voglio che arrivino, gliele dia io, perché non ha senso fare domande finte; invece le domande che “aprono” sono un’altra cosa.

Linda: Credo che anche le domande di cui noi sappiamo la risposta abbiano senso, sono domande che servono a “tenerli attivi a far ricostruire e decostruire loro il testo”. Non sono domande che mirano a interrogare e mettere il voto (e qui sta la differenza). Non si tratta di domande che permettono di negoziare significati, ma che mettono, per così dire, sul piatto alcune evidenze del testo.

Daniela: Be’,  allora mi viene da dire: se dati devono essere, allora che siano tali. Posso cioè fornire direttamente una griglia come ad esempio: trova i picchi della suspense. Oppure chiedo loro di accumulare tutte le informazioni che il narratore rivela sul personaggio e di scovare assieme con quali tecniche diverse le fornisce.

Ma vedrai che diciamo la stessa cosa. Cioè, nessuno di noi chiede: “secondo te questa è una descrizione oggettiva o soggettiva?”.

Linda: Sì, esattamente così: messi di fronte al testo anche io chiedo ai ragazzi di scoprire, di cercare, di raccogliere dati. Evito di dar loro la risposta. A fronte di una descrizione, ad esempio, io chiedo sempre: Come descrive l’autore? Quali oggetti descrive? Perché? Non pongo la domanda: “la descrizione è oggettiva o soggettiva?”

Maria: Provo a riassumere: premesso che le domande debbano essere pochissime e mirate, ci sono le domande che aprono alla lettura profonda (che quindi comprende anche la comprensione) e quelle finalizzate a offrire strumenti ulteriori di lettura.

Loretta: Sempre nel libro citato da Agnese, Making thinking visible, si consiglia di porre domande “con le gambe”: si tratta di domande generative che spingono avanti l’apprendimento rivelando la complessità della vita e quindi dei libri. Ad esempio, di fronte ad un testo letterario o storico, oltre a chiedere “qual è la storia?” è fondamentale chiedere “Qual è/quali sono le altre storie? Cosa noti? Quali altre storie ti ricorda?”. Domande come questa dovrebbe diventare abituale nelle nostre classi perché apre alle mille sfaccettature dell’esistenza e porta con sé ulteriori domande ed approfondimenti.

Sara: A proposito dell’arte di fare domande, ricordo quelle di Socrate nel “Fedro”, il dialogo di Platone in cui si sostiene la superiorità dello scambio orale tra filosofo e allievo rispetto all’opera scritta. 

Secondo me dentro di noi dorme da sempre un filosofo che passeggia e fa domande. La lettura dei manuali americani ha fatto riaffiorare qualcosa che scava nel profondo della nostra cultura classica e che ci appartiene da secoli. 

Ma quante domande dobbiamo fare? 

Stefano: Fino a poco tempo fa pensavo tante: tante domande, tante risposte. Ora mi sto ricredendo. L’eccesso di domande crea confusione. Dobbiamo rispettare i nostri tempi, riappropriarci del tempo lento della riflessione, del sostare sulle parole e quindi anche sulle domande. Una sola domanda può costruire.

Loretta: Anche io, come Stefano, sto lavorando sulla riduzione. Meno domande ma più qualità in quelle che intendo porre e maggior lavoro metacognitivo per farle diventare un habitus mentale mio e dei miei studenti.

 

Quali sono le domande da fare?

Potreste fare degli esempi?

Linda: Ho notato come noi insegnanti preferiamo domande semplici, “chiuse” potremmo dire, che prevedono risposte semplici (mannaggia alle risposte chiuse dei libri di testo!) pensando che siano più facili per i bambini e i ragazzi. E soprattutto che ci costino poco tempo e poca discussione. Le domande come le intendiamo noi hanno, invece, bisogno di scambio, discussione e di tempi distesi. Non dobbiamo avere paura del tempo: noi lavoriamo su domande vere, reali, non sul ping pong che è di solito la domanda da interrogazione.

Daniela: Avete presente la poesia “A Silvia”? Per lavorare sul potere della parola,  io ho chiesto loro di sottolineare con colori diversi le strofe che avevano una visione positiva e quelle che avevano una visione negativa.

Linda: Una volta ho proposto un lavoro in formazione presentando agli insegnanti un brano e ho chiesto loro di costruire le domande: la domanda più ricorrente è stata “Perché Simone è spaventato?” Eppure nel testo non c’era nemmeno scritto che Simone fosse spaventato, senza volerlo i docenti avevano suggerito loro la risposta. Non dobbiamo mai suggerire le risposte, ma, al massimo, aiutare a costruirle. In questo caso li ho invitati ad “fare un passo indietro”. Ho detto loro:  “lasciate liberi i bambini di esplorare. Fate cercare loro i momenti da cui si capisce che Simone prova qualcosa (per cui la domanda poteva essere “da quali parole/ frasi capisci le emozioni di Simone?”) e poi da lì ragionate coi bambini su come vengono usate le parole e le immagini”.

Loretta: La mia domanda-mantra è “come lo sai?”, una domanda potente, trasversale a tutti i generi, una domanda di tipo “galileiano”, nel senso che insegna ad indagare la realtà con il metodo scientifico, basando le proprie affermazioni su evidenze.

Linda: Altro genere di domande sono quelle che spingono il lettore a cercare connessioni con la propria vita, con altri testi letti. Domande che mettono il testo in comunicazione con il lettore e con ciò che c’è intorno a lui.

 

E i ragazzi non fanno domande?

Ilaria: Facciamo domande ai ragazzi proprio perché si abituino a farsi e fare domande, coltivando così lo spirito critico. Uno degli approcci più basilari al testo, suggerito da Serafini, è proprio questo: nello schema a Y, accanto alle impressioni e alle connessioni, si inseriscono le proprie domande. Ciò può essere utile anche ad un livello più semplice, come raccontava Stefano recentemente: esponendo i ragazzi a un testo, senza spiegazioni, le loro domande possono aiutarci a dare il via all’analisi base e alla contestualizzazione del testo, nel senso che consentono al prof. di dare quelle informazioni che avrebbe comunque fornito “frontalmente”, ma che ora, sotto forma di risposta, suscitano un’attenzione diversa (ad esempio, letta “A Zacinto” senza che gli alunni sappiano nulla dell’autore, è molto probabile che domandino: “Come mai Foscolo parla di un’isola greca?” eccetera).

 

Conclusioni

Abbiamo provato, in modo un po’ scherzoso ad affrontare la questione dell’utilizzo delle domande nella didattica. Sintetizzando, queste ci paiono le categorie di domande:

  1. Domande per spingere a comprendere il testo attraverso il testo: sono  le domande del tipo “come lo sai che..?”.
  2. Domande per costruire insieme nuove interpretazioni: sono le domande del tipo “quali sono le altre storie?”.
  3. Domande per cercare connessioni con la propria vita e con altri testi: sono le domande del tipo “quali testi ti vengono in mente e perché? Ti sei mai trovato in una situazione simile? Cosa avresti fatto al posto di…?”.
  4. Domande che nascono dai ragazzi: possono aiutarci a dar via all’analisi del testo, ci permettono di individuare immediatamente i loro dubbi e curiosità e di osservare come pongono le domande (va considerato che difficilmente viene posta una domanda su un argomento che non siamo pronti ad affrontare: provate a presentare lo stesso testo ad età diverse, vi renderete conto immediatamente della diversità delle domande).

 

Tutti siamo concordi nel ribadire l’importanze delle domande per l’apprendimento, purché non siano troppe e prevedano una discussione orale.

Abituarsi a lavorare sulle domande e con le domande significa lavorare sul processo di apprendimento.

Per approfondire potete consultare questa minibibliografia:

Ajello, Pontecorvo, Zuccamaglio Discutendo si impara, Carocci 2004

Comoglio Educare insegnando, LAS 1999

Ritchhart, Church, Morrison, Making thinking visible, Jossey-Bass 2011

M. Minuto – M. Ravizza “A cosa servono le domande?”

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