Lettori per scelta, scrittori non per caso

Lettori per scelta, scrittori non per caso

Meno di un anno fa è uscito in Italia “Come ho scritto un libro per caso”, il primo romanzo dell’olandese Annet Huizing, consulente letterario e scrittrice di testi non fiction per ragazzi. «150 pagine, capitoli brevi, efficaci: si beve».

Perché ne parliamo nel mese dedicato alle consulenze? Per il rapporto tra la giovane protagonista – la tredicenne Katinka che aspira ad essere una scrittrice, alle prese con la necessità di stendere su carta le storie che le si affollano in testa – e la sua vicina di casa Lidwien, un’autrice famosa, che durante le loro frequentazioni suggerisce alla ragazza come trovare il suo stile, cosa scrivere, le assegna esercizi di scrittura, le fornisce esempi e brevi lezioni… I capitoli sono le prove di scrittura che lei sottopone alla scrittrice: come “metalibro” funziona benissimo.

Le più attente di noi l’hanno intercettato e letto appena uscito, poi pian piano nel nostro salotto a distanza di chiacchierate didattiche sono cominciati gli scambi di impressioni, le proposte di utilizzo, i percorsi didattici. Cercheremo di raccogliere quanto emerso, in una sorta di “ricettario” su come proporre il libro a scuola, tra spunti più o meno strutturati emersi dal confronto, minilesson da sviluppare, nella cornice del discorso tra le consulenze e il ruolo della “maestra di scrittura” che emerge nel libro.

Chi ha letto qualche manuale di scrittura (alcuni in italiano ne cita Agnese Pianigiani in questo articolo), troverà subito molti precetti disseminati nel testo che Katinka annota nel suo Iphone:

«Vedi dinnanzi a te i personaggi e le scene come in un film»

«Prima bisogna imparare le tecniche e allenare i muscoli della scrittura»

«Non importa ciò di cui scrivi. Quel che importa è come lo fai»

«Non devi iniziare da Adamo ed Eva. Inizia dal cadavere»

«Devi copiare bene dagli altri scrittori»

«Uno scrittore non pensa soltanto a quello che scrive, ma anche e soprattutto a quello che ometterà»

Solo per citarne alcuni. Nella nostra formazione di docenti di italiano – lo abbiamo ripetuto spesso – non abbiamo trovato corsi di scrittura, a meno che non li abbiamo cercati, pertanto è utile anche a noi vedere in azione un consulente letterario. Per chi si è imbarcato nello studio dei maestri del Writing Workshop, poi, questo libro è sembrato un ottimo alleato.

Partiamo dai nostri “taccuini” del lettore, che riportano annotazioni molto diverse. La più entusiastica è questa:
«Ho amato la scrittura limpida, i bei personaggi non banali, i dialoghi, tanto mostra-non-dire. Struttura: prima la storia in bozze che la ragazza sottopone alla scrittrice si distingue bene dalla vicenda narrata, poi tutto si mescola e confonde. Come se la scrittura  smettesse di essere quel “caos” indistinto di cui parlano anche i maestri del WW per diventare, in modo impercettibile, ciò che dovrebbe essere, qualcosa che ti avvince e ti trascina. Come se le bozze fiorissero, appunto, in un romanzo. Scrittura e vita diventano una cosa sola. Per caso.
Connessioni con me: c’è, quando scrivo, un momento in cui la scrittura è “giusta”, le parole esatte. Come se fossero spuntate all’improvviso. In realtà c’è stata una revisione, una scelta, tagli e correzioni. Ma c’è un momento in cui ti sembra che tu non possa cambiare più nulla perché va bene così. Come se ciò che hai scritto fosse arrivato da un altro pianeta. Mi capitava quando scrivevo poesie, meno con la prosa, con cui devo mettermi alla prova. Spesso avevo l’impressione di aver scritto poesie per caso, quasi le avesse scritte qualcuno al posto mio».

«La scrittura è messy, lo dice Frank [Serafini, ndr.]. Poi attraverso le nostre consulenze e con il tempo e la maturazione dei giovani scrittori – diventa qualcosa di leggibile».

Un’altra voce ribatte:

«Prima lettura d’un fiato e poi tanti pensieri sulla possibile lettura coi ragazzi. Quando mi innamoro subito mi sento in dovere di stanare eventuali trucchetti che mi hanno colpito alla pancia, quindi farò un secondo giro. Penso che questo potrebbe essere il nostro nuovo Adalberto [Le memorie di Adalberto di Angela Nanetti, su cui si rimanda all’articolo di Elisa Turrini, ndr.], cioè mentor coinvolgente e fresco per “acchiappare” le prime».

E ancora:

«Sicuramente una seconda lettura la farò solo con lo scopo di vedere come la storia in bozze e quella non sottoposta alla scrittrice si susseguono: su questo si potrebbero suggerire ai ragazzi tanti spunti di analisi su come è strutturato il libro».

O annotazioni più ampie: «Secondo me nel libro è molto forte il tema del lutto e del dolore per la perdita della madre – la visita al crematorio e soprattutto la visione del video sono episodi molto forti -. E la potenza della scrittura autobiografica, che porta Katinka – che nella prima parte del libro pare aver superato la perdita della madre e accettato la compagna del padre – a tirare fuori tutto il suo dolore ed affrontarlo», fino a quelle più curiose: «Buffa l’idea di recuperare i “kill your darlings” come contenuti extra di un libro come per un film… chissà se qualcuno l’ha mai fatto?».

Il confronto è entrato anche sulla costruzione dei personaggi, ad es.:

«Che ne pensi del modo in cui ricorda la mamma? E dello scatto d’ira con la morosa del papà? Io trovo questo personaggio autentico e mi piace che l’autrice vada nei suoi pensieri il giusto, senza dire troppo. Forse, se devo trovare una sbavatura, la morosa del papà è un po’ troppo paziente e perfetta. Ma magari lo penso perché sono io una mamma esigente».

«Nel ricordo della mamma la trovo brava a dosare le emozioni, evita di far apparire patetica la ragazza, accenna. Fa vedere il dolore (il pianto improvviso, come una liberazione, e insieme il rimpianto del ricordo perduto). Sì, il personaggio della fidanzata del padre è sempre troppo perfetta negli atteggiamenti ma devo rileggerlo».

Altre colleghe sono rimaste più scettiche, ma, al di là dei pareri sul libro, è facile trovarsi d’accordo sul fatto che sia un ottimo mentor text.

Alcune hanno immaginato una lettura ad alta voce come introduzione al laboratorio, dal momento che l’attenzione verso il processo di scrittura può servire a far riflettere i nostri studenti. Altre hanno pensato di ricavare dei mentor e poi inserirlo nella biblioteca di classe, con l’accortezza di non proporre un lavoro prolungato ad alunni che si trovano a vivere le stesse situazioni della protagonista che ha da poco perso la madre, come nel caso delle classi di due colleghe.

E poi? Proposto come meta-mentor? In maniera continuativa? Come ripresa di alcune minilesson? O come introduzione un capitolo alla volta unendo read aloud e WW?

«Io utilizzerò il libro per un laboratorio di scrittura pomeridiano perché le tecniche sono presentate in maniera semplice e con brevi esempi che possono già considerarsi dei mentor text. Per il poco tempo a mia disposizione li considero perfetti. Sono comunque sicura che li utilizzeró anche nelle classi mattutine, mi sembrano efficaci se li paragono agli esempi di brani che ho sull’antologia».

«Io ho preparato una traccia di lavoro di scrittura per la mia seconda, da fare durante le vacanze. Partendo dalla lettura del libro, mi piacerebbe che anche loro seguissero, come la protagonista, i consigli della scrittrice Lidwien, e anche loro scrivessero una sorta di racconto in capitoletti».

Chi legge da scrittore resta meravigliato dal fatto che alcune parti sono delle minilesson di scrittura già pronte: ad es. quella sullo show don’t tell a p. 15, o quella sui cliffhanger a p. 26, o sulla costruzione dei personaggi a p. 33. Ma si può spaziare davvero su tutti gli aspetti della narrativa, dal conflitto, ai dettagli sensoriali, al ritmo, ai contrasti, ai punti di vista, e così via. E La Huizing alterna parti in cui spiega la tecnica e altre in cui la mostra.

In altri punti del testo si indugia su altri aspetti fondamentali del processo di scrittura, la revisione, ad esempio: «Questo pezzo l’ho riscritto dodici volte» è il primo ”commento” tecnico che l’autrice inserisce in bocca alla ragazzina, a scanso di equivoci.

Alcune di noi, pertanto, userebbero il libro in classe intrecciando lettura ad alta voce a scrittura, soffermandosi sia sulle parti “minilesson” di scrittura, sia su quelle che offrono spunti per “leggere da scrittori” e trovare le tecniche utilizzate.

C’era chi proponeva di utilizzarlo in prima dopo febbraio, a ripresa di alcune ML una volta che si conoscono gli alunni. Oppure il primo mese della seconda, lettura e scrittura insieme, o in maniera più distesa, per riprendere l’autobiografia in seconda con tecniche vecchie e nuove: «Quei capitoli corti sono perfetti! A chi vuole proseguire si potrebbe dare in bibliografia “Voglio fare la scrittrice” di P. Zannoner che è lungo e complesso per un lavoro intensivo in classe».

È emersa anche la proposta di proporre il libro a un punto del laboratorio più avanzato, legandolo al lavoro sui process paper… come altro livello “fuori dal libro” per la metacognizione.

Qualsiasi scelta si faccia lo scopo è far sperimentare agli studenti quanto sostiene Katinka: «Credo che la cosa più bella sia proprio questa: poter decidere io quel che succede e come debba andare a finire…». Buon lavoro!

Questo articolo cuce insieme contributi di Maria Aprosio, Alice Cabrelle, Loretta De Martin, Barbara Dragoni, Sara Faroni, Barbara Licastro, Daniela Pellacani, Marisa Pellegrini, Agnese Pianigiani, Jenny Poletti Riz e Romina Ramazzotti.

Condividi


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *