Le mani in pasta. Scrivere per loro, scrivere accanto a loro.

Le mani in pasta. Scrivere per loro, scrivere accanto a loro.

Quando ero piccola, la domenica a casa mia si facevano gli gnocchi. Di buon mattino mia nonna occupava metà tavolo della cucina con la spianatoia e l’altra metà con una tovaglia pulita, pronta ad accogliere i nostri manufatti. “Veder fare, saper fare”, diceva, e mi esortava ad osservare bene i movimenti delle sue mani mentre impastava, stendeva e lavorava i pezzetti di pasta con la forchetta o con le dita. E mentre faceva, raccontava come muovere le mani, quanta pressione fare su ogni gnocco, quanta farina usare senza appesantire il composto. Ma il bello veniva quando mettevo le mani in pasta anche io. I primi gnocchi erano sempre i peggiori, piccoli bozzoli informi che mia nonna, col sorriso sulle labbra, riprendeva col suo tocco leggero. Poi, con un po’ di allenamento, prendevo la mano e non avevo più bisogno di troppe correzioni. Lavoravamo insieme, una accanto all’altra, ma ognuna a modo suo.

Con il Laboratorio di Scrittura facciamo e chiediamo ai nostri studenti di fare proprio questo: mettere le mani in pasta e creare.

Nancie Atwell scrive: «L’invito più efficace e convincente per far pensare ed agire i nostri studenti come scrittori è mostrare loro come un adulto pensa e agisce da scrittore. […] Non è necessario che l’insegnante sia il prossimo grande romanziere d’America per trasmettere valide lezioni di scrittura. È sufficiente essere un poco più bravi di loro perché gli studenti imparino dalle nostre dimostrazioni e ne traggano profitto». (1)

L’intento di un insegnate nel WRW è innanzitutto quello di motivare gli studenti, di fargli venir voglia di mettere mano alla penna. Scrivere dei pezzi per loro serve a fornire una prova concreta di quanto artigianale sia il lavoro dello scrittore, frutto di duro e ordinario lavoro; serve a spronarli a trovare ciascuno i propri argomenti, perché ognuno di noi ha qualcosa da dire; serve a convincerli del fatto che tutti possono imparare a scrivere, perché non si tratta di un dono di natura riservato a pochi eletti.

Scrivere pezzi che fungano da esempio per i nostri alunni serve, inoltre, ad attestare che scrivere non è un processo semplice e lineare e che non esiste un’unica e sola via di farlo, bensì che ognuno deve mettersi alla ricerca della sua e che sarà una via del tutto originale, come la singola voce che andrà ad esprimere. Dimostriamo praticamente ai nostri studenti che la scrittura funziona solo se è un processo autentico e realmente coinvolgente. E dimostriamo, nel contempo, quanto sia vero e autentico anche l’insegnante che hanno di fronte. È così che inizia un processo di avvicinamento e di stima reciproca davvero inarrestabile.

Da quando ho cominciato a sperimentare il WRW e a cercare la mia strada nell’insegnamento della scrittura, non ho più smesso di scrivere e condividere con i miei alunni, e questo coinvolgimento attivo del docente è l’aspetto che mi ha letteralmente conquistato del metodo. Se con il Laboratorio di Lettura ho scoperto il mondo sterminato ed affascinante della Letteratura per ragazzi, il Laboratorio di Scrittura mi ha fatto riappropriare di una passione remota, mai sviluppata ma solo sopita: il piacere della scrittura.

Scrivo per i miei alunni sia a casa che sotto i loro occhi. Mostro come sviluppo gli attivatori che propongo loro e come, da questi, inizio ad abbozzare i miei pezzi; mostro come e quanto un testo si può trasformare al momento della revisione. Spesso tutto questo si riassume in un process paper che commentiamo insieme. Come scrive la Atwell, si tratta di «mostrare ai ragazzi quello che rimane solitamente nascosto fino a quando non scriviamo e lo rendiamo esplicito: ovvero la realtà disordinata dello “scrivere-come-processo”». (2)

Oltre ai testi più personali, scrivere le minilesson sulle tecniche di scrittura è un ottimo strumento di razionalizzazione e metacognizione: un ulteriore esercizio che serve a riflettere in maniera empirica sul proprio processo di lavoro, su come si sceglie di applicare le diverse strategie e su quale possa essere la loro efficacia nel prodotto finale. Quando decido di inserire, all’interno di una minilesson, un testo mio invece che un mentor letterario, è perché scelgo di “cucire addosso” alla tecnica che desidero insegnare l’abito più giusto ed immediato da vestire; sperimento prima come vorrei che sperimentassero poi i miei allievi, in maniera sincera, naturale, realistica; trasmetto lo sforzo di “fare letteratura” ogni volta che scrivo, che è un concetto diverso dal leggere, interpretare, analizzare la Letteratura.

E veniamo all’uso del taccuino, uno strumento tanto necessario e utile nel WRW quanto difficile da “addomesticare” e gestire. Pur conoscendo il valore della scrittura e della condivisione delle proprie annotazioni, all’inizio non riuscivo a curare il taccuino con costanza, spesso mi censuravo, al momento di leggere ad alta voce temevo di espormi troppo con i ragazzi o di non dare degli esempi sufficientemente validi o originali. Poi però, man mano che io stessa ne ho intensificato l’uso quotidiano, mi sono sentita più sciolta, più focalizzata sull’obiettivo e sul senso stesso del taccuino: fare pratica di scrittura, riflettere da scrittrice e da lettrice in maniera attenta e consapevole, prendermi il tempo di fissare, di dare letteralmente struttura e densità ai miei pensieri, e di trovarci persino gusto.

Quante volte tocchiamo con mano che scrivere non è un processo fluido? Quanto spesso capita anche a noi, adulti esperti, di esitare, di non recuperare subito le parole giuste, di non ottenere gli effetti desiderati? Cimentarsi, mostrare dubbi e incertezze davanti ai ragazzi è, per loro, una consolazione, così come sono uno stimolo le riflessioni che ci portano a migliorare i nostri scritti.

Alcune volte scrivere è un esercizio di libertà, divertente, entusiasmante, in cui ci sentiamo a nostro agio; altre volte è una prova scomoda, complessa o persino dolorosa. Accade che mi commuova io stessa, o che i ragazzi possano piangere, scrivendo o condividendo le nostre annotazioni. Quando questo accade, cito Natalie Goldberg: «Non bisogna fermarsi alle lacrime, ma bisogna continuare a leggere o a scrivere attraverso le lacrime, in modo da poter uscire dall’altra parte senza lasciarsi sviare dall’emozione. Bisogna attraversare le lacrime per arrivare alla verità». (3)

Dite sia troppo complesso per degli alunni di scuola dell’obbligo? Io credo che mostrare la propria sensibilità – in una classe in cui il clima è sereno e si percepisce il rispetto tra tutte le parti – non possa che essere salutare se non addirittura catartico, per tutti. Sentirci e mostrarci umani è il regalo più bello che possiamo fare ai nostri alunni, in controtendenza rispetto alla maggior parte delle immagini e delle parole che gli schermi dei loro smartphone gli riflettono contro.

Leggere per prima le mie annotazioni, le bozze o i miei pezzi finiti, serve a sbloccarli, a dimostrargli che ciò che conta, in classe, è l’esercizio, e che la condivisione è uno strumento che aiuta tutti – e innanzitutto me – a crescere come scrittori.

Non c’è giudizio di valore, non c’è voto, non c’è critica per nessuno, ma solo suggerimenti e riflessioni, sempre dopo un sincero applauso di ringraziamento: i ragazzi devono sentirsi accolti dai compagni e dall’insegnante e non giudicati, solo questo può creare il giusto clima di fiducia che gli consente di mettersi in gioco e di spingere la linea del loro traguardo personale sempre un po’ più in là.

E se il momento della condivisione funziona, spesso accade che i ragazzi tornino furtivamente a scrivere dopo aver letto, per annotare un’idea nata da un suggerimento, perché qualcuno ha trovato una parola che si stava cercando, per eliminare dell’erbetta superflua cresciuta intorno ad un pensiero in fiore.

Riflettendo sulla mia vita precedente, quella con l’antologia per intenderci, mi rendo conto di aver agito per imitazione dei miei stessi insegnanti, proponendo, dopo una planata su un genere, delle tracce bellissime e impossibili, che richiedevano un esercizio di fantasia e di tecnica che i miei alunni non praticavano. Anche quando provavano a svolgerle, non raggiungevano mai il grado di perizia e creatività necessaria, per non parlare delle difficoltà nell’uso della lingua e nel costruire strutture sintattiche convincenti e funzionali al genere trattato. Risultato: i pochi che erano già bravi a scrivere se la cavavano senza troppi intoppi, ma per la maggioranza c’era delusione, insoddisfazione e un gran senso di incapacità da entrambe le parti, di fronte e dietro la cattedra.

Oggi questo non accade più. Sono sempre la prima a testare la fattibilità e l’effettiva efficacia delle mie proposte di scrittura, modello su di me pensando a loro e i risultati sono nettamente cambiati. Tutti i miei alunni scrivono e i progressi, piccoli o grandi che siano, sono sotto i loro occhi, mentre la loro voce risuona autentica tra le pagine dei quaderni e dei taccuini, ogni giorno un po’ di più.

Vi riporto l’esempio di C., una mia alunna BES di prima media, che alla fine del percorso sulla poesia mi ha detto: «Grazie Prof, non mi ero mai sentita così alla Scuola Primaria», e intendeva il fatto che, a dispetto delle sue difficoltà e dopo molte resistenze, ha scritto esattamente come gli altri, senza percorsi alternativi e raccogliendo un risultato insperato. Perché dopo che io ho conquistato la sua fiducia con l’esempio, lei ha creduto in se stessa attraverso la pratica. E si è sentita motivata a fare, nonostante la fatica. Se all’inizio dell’anno C. era timida, svogliata e un po’ passiva, oggi non si sottrae più alla scrittura, anzi ha voglia di scrivere e scrive poesie dolcissime e prose zeppe di errori di ortografia ma scrive, fa esercizio, si confronta con gli altri, ha sete di parole, le raccoglie – per citare uno dei miei albi preferiti – «come sassolini lisci e brillanti e dentro ci vede il mondo che luccica».

Ecco la prima poesia finita che mi ha consegnato, per la quale ha tratto ispirazione dall’esempio mio riportato a destra. Avevamo parlato di verso libero, metafore e anafore, immagini poetiche, lessico sensoriale e parole forti, partendo da qualcosa che ci sta profondamente a cuore, secondo quello che è diventato il nostro mantra: «No tears in the writer, no tears in the reader». (5)

 

Come sappiamo, non ha importanza il capolavoro finale quanto il lavoro di riflessione, ricerca e sperimentazione compiuto per arrivare alla fine, ognuno con i mezzi che ha a disposizione. All’inizio C. aveva solo due nomi e un amore smodato per le sue sorelline; poi si è concentrata sull’esempio che ha ritenuto più vicino alle sue corde; infine, con un occhio all’esempio e uno alle minilesson, lo ha trasformato come meglio ha saputo fare.

Il coinvolgimento e la motivazione di C. sono stati un grande premio per me. Con il WRW l’inclusione è vera e a tutto tondo, ogni singolo alunno è protagonista del processo di scrittura e l’insegnante cammina al suo fianco.

E se poi, scrivendo per loro, doveste scoprire di farlo anche un po’ per voi, se vi trovaste a rispolverare ricordi cari, ricucire pezzi d’anima un po’ sdruciti, illuminare i vostri pensieri, ricorderete che il narrare è una necessità per l’uomo, un bisogno originario, una prerogativa fondamentale.

«Le storie sono indocili, animali selvaggi che corrono verso direzioni imprevedibili […] Le storie sono importanti. Possono essere più importanti di qualsiasi cosa. Se portano con sé la verità». (6)

Dunque non vi resta che lasciarvi andare.

Mettete le mani in pasta.

E l’inchiostro sul foglio.

 

  1. Nancie Atwell, In the middle, Heinemann, 2015.
  2. Id.,  pag. 108.
  3. Nathalie Goldberg, Scrivere ZEN, Ubaldini Editore, Roma, 1987.
  4. B. Alemagna, Un grande giorno di niente, Topipittori, 2016.
  5. Robert Frost.
  6. Patrick Ness, Shioban Dowd, “Sette minuti dopo la mezzanotte”, Mondadori, 2011
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1 thought on “Le mani in pasta. Scrivere per loro, scrivere accanto a loro.”

  • Grazie, è stato molto illuminante la tua esperienza che hai voluto condividere. Io insegno alla primaria ein una terza e quest’ anno ho messo in atto il laboratorio di lettura costante da cui traevamo spunti preziosi per la scrittura, con consulenze e tutti i bambini ognuno con le proprie possibilità hanno dato il meglio di sé. Quando costruivano la bozza io scrivevo alla Lim per condividere il mio pensiero ,ma anche per far notare come dicevi tu come possiamo lavorare per migliorare un testo .I miei alunni inizialmente hanno sentito il bisogno di scrivere a matita. Poi nel secondo quadrimestre hanno superato questa paura e si sono lanciati scrivendo con la penna . Hanno imparato anche a curare l’ aspetto grammaticale ,la coerenza e coesione nel testo, a saper fare una revisione.Io ho poche ore e tante materie (italiano,storia,geografia,arte e immagine e musica e nessuna compresen za) come mi ha consigliato la brava Linda Cavadini, ho sfrutto tutte le occasioni per lavorare in mofo da utilizzare il metodo anche con i testi storici e geografici , anche con arte per dedicarci alla bellezza della poesia, prima a ricalco, poi immersione ogni giorno nella lettura di una poesia e poi volare con il piacere di essere piccoli poeti
    Ho notato che il mio modo di procedere é cambiato non ho più
    l’ ansia del programma, ma entusiasmarli e appassionarli leggendo testi di validi autori. Mi piacerebbe farti leggere un testo svolto da una bambina per darmi dei consigli. Come posso fare inserirlo tecnicamente?

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